All’origine di tutto, un enorme numero di incidenti. Dopo che l’89% dei votanti si è espresso contrario all’utilizzo dei monopattini elettrici in sharing, da settembre si cambia registro, a spese di chi era corso per impiantarvi il proprio business
Dopo il referendum di domenica, con l’89% dei cittadini parigini che si sono dichiarati contrari, al netto di eventuali ripensamenti, da settembre la capitale francese bandirà l’utilizzo di monopattini elettrici a noleggio. Un duro colpo per quelle società che tanto avevano investito e scommesso su Parigi. Quello della capitale è stato, infatti, uno dei mercati di e-scooter più regolamentati ma, nonostante la limitazione della velocità massima a 10 chilometri all’ora e l’obbligo per i conducenti di utilizzare aree di parcheggio dedicate, gli incidenti e i disagi sono rimasti numerosi e così Parigi è diventata la prima città a invertire la sua politica sui contratti per la micromobilità condivisa.
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Il referendum parigino sugli e-scooter
Era stata la stessa sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, a spingere affinché la capitale diventasse una città più vivibile e a promuovere una serie di interventi per recuperare una serie di parcheggi destinati alle auto da convertire in nuove piste ciclabili e aree pedonali. E nel 2018 aveva vinto la scommessa ma, nonostante le prospettive sul mercato degli e-scooter fossero rosee, la guida spericolata e il disordine che causavano a chi si trovava a percorrere gli stessi marciapiedi, hanno spinto il sindaco a indire il referendum. Non è stata solo questa la causa. Complici anche le elevate tariffe di noleggio: una corsa di 10 minuti costa circa 5 euro. E lo stesso sindaco ha affermato che lo sharing non abbia impattato più di tanto sull’utilizzo delle auto, non apportando, dunque, significativi incentivi nel contrasto al cambiamento climatico. L’appello ha ricevuto una scarsa risposta da parte della cittadinanza (si sono recati alle urne solo il 7,5% degli elettori) ma chiara: l’89% dei votanti non vuole più avere a che fare con gli e-scooter in sharing. Ora l’amministrazione punta sul mercato dell’e-bike, delle biciclette classiche e sui banali spostamenti a piedi.
E-scooter, chi lascerà Parigi
Tra le prime società che, se l’iter proseguirà su questa linea, dovranno lasciare la capitale francese ci sono Lime, Dott e Tier. Le flotte dovranno sparire entro il 1° settembre, per un totale di 15.000 scooter elettrici. A rischiare il posto di lavoro sono 800 dipendenti. Molti addetti al settore temono che quanto accaduto a Parigi, dove gli e-scooter sono già nel 2018, avrà effetti a catena in altre città. Non mancano, però, le polemiche sul voto. Lime Dott e Tier contestano il fatto che il referendum abbia registrato una bassa affluenza per il numero limitato di seggi elettorali dove poter votare (che hanno, quindi, comportato lunghe code) e nessun voto elettronico, oltre al fatto che la stessa domenica si è tenuta la maratona di Parigi e che soltanto i residenti della capitale potevano votare, escludendo i pendolari. A niente sembra valsa anche l’opportunità proposta dalle 3 società che nella giornata di domenica hanno offerto corse gratuite ai clienti per recarsi alle urne e hanno incentivato il voto tra i giovani con diverse campagne sui social network.
Anche il primo ministro francese, Elisabeth Borne, non è favorevole al drastico divieto dei monopattini in sharing, ma vorrebbe proporre una migliore regolamentazione della «piccola mobilità» urbana. Nei giorni scorsi, il ministro dei Trasporti, Clément Beaune, ha presentato un piano nazionale che ambisce a definire regole più rigide. In ogni caso, il divieto non avrà effetto sulle e-bike offerte dalle società di micromobilità condivisa, che rimarranno in città. Allo stesso modo, gli e-scooter di proprietà privata non sono interessati dalle nuove norme.