Questa nuova tappa del nostro viaggio alla scoperta dei centri dell’innovazione tocca il capoluogo emiliano. Siamo stati ospiti dell’hub dedicato ai videogame, un mercato che vale 140 miliardi di dollari a livello globale
Il nostro appuntamento seriale con Viaggio in Italia prosegue in Emilia Romagna alla scoperta di un progetto che rappresenta un’unicità nel panorama nazionale. Bologna Game Farm è un’iniziativa promossa dalla Regione Emilia Romagna e dal Comune di Bologna per lo sviluppo di prototipi e la commercializzazione di videogames. Ed è l’unico caso italiano in cui le istituzioni sono impegnate in prima persona nel finanziamento di un progetto che vede protagonisti i videogiochi. Coordinato dal Comune di Bologna e realizzato con Art-ER, in collaborazione con IncredBOL! – con il supporto tecnico di IIDEA, Italian Interactive & Digital Entertainment Association – Bologna Game Farm, alla sua seconda edizione, ha coinvolto 4 team di giovani imprenditori con sede in Emilia Romagna nello sviluppo di videogames a carattere ludico. Esperienza, passione e innovazione sono le caratteristiche che contraddistinguono questi giovanissimi gamer, i quali si sono aggiudicati un contributo di 30.000 euro ciascuno per lo sviluppo della propria idea. Scopriamo come è nato il progetto nel dettaglio.
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Un hub di videogamer a Bologna
«La peculiarità di Bologna Game Farm sta nella collaborazione decennale tra Comune e Regione per la nascita e lo sviluppo di industrie creative – spiega Sara De Martini, referente del Comune di Bologna nel settore Cultura e Creatività – Nello specifico, l’iniziativa affonda le sue radici nel 2016, quando fu la stessa Regione a chiedere a IncredBOL! di capire bisogni e necessità degli sviluppatori di videogames». Si tratta di un settore dove circolano capitali, con ampie potenzialità di sviluppo e in crescita esponenziale, non solo in Italia. Una richiesta che ha creato terreno fertile sul quale sono state messe le basi per la costruzione di Bologna Game Farm, nel 2021, con il primo bando dedicato al settore dei videogames. Al termine di un lavoro durato più di dieci anni, sono stati ammessi al bando i progetti che hanno presentato un prototipo di videogioco già funzionante. «Ne abbiamo scelti quattro, che sono stati premiati con un contributo a fondo perduto di 30mila euro», afferma Sara De Martini.
La cornice all’interno della quale oggi i team vincitori sono accelerati è molto particolare: stiamo parlando delle Serre dei Giardini Regina Margherita, uno spazio aperto molto suggestivo nel cuore del capoluogo romagnolo. Circondati dal verde, i team hanno a disposizione una serie di spazi di coworking, oltre ad avvalersi delle mentorship. «Far crescere e professionalizzare il settore dei videogiochi è la mission – conclude Sara Di Martino – Oltre a connettere i team con la rete della formazione attraverso una manifestazione di interesse pubblico. Bologna Game Farm, infatti, collabora con l’Accademia delle Belle Arti di Bologna, ingegneri e partner privati».
Cosa succede a Bologna Game Farm
A coordinare Bologna Game Farm c’è Ivan Venturi, sviluppatore di videogiochi da 37 anni. «Bologna è nota per essere la città che, storicamente, è legata ai videogames, anche se le sedi principali di sviluppatori sono a Milano – spiega Ivan – Ed è un capoluogo che ha saputo fiorire dal punto di vista videoludico. Dal 2010 qui si tiene Svilupparty, un evento che punta a far conoscere e creare networking tra sviluppatori indipendenti. L’iniziativa oggi vanta una stretta connessione con Bologna Game Farm». In questa nuova edizione di Game Farm non sono stati ammessi giochi in VR: una scelta che nasce dall’esigenza di rendere i prototipi pronti da un punto di vista di sostenibilità commerciale. «I progetti sono stati scelti a inizio dicembre dell’anno scorso e a metà gennaio è iniziata l’accelerazione, che si è suddivisa in 3 fasi: refactoring del progetto e del team; verifica della sostenibilità del gioco e percorsi di mentorship per arrivare a progetti corretti a livello merceologico, di game design e team e, infine, si lavora al pitch per il publisher, definendo l’interezza del progetto – continua Ivan – A livello pratico, una volta completata la preproduzione e definita nel dettaglio la strategia di publishing, si cerca il publisher, che finanzia l’interezza del gioco».
Quasi sempre si tratta di un publisher estero, che offre supporto nella definizione del progetto e lavora a stretto contatto con i team, fino alla pubblicazione dei videogames. «Abbiamo stretto una collaborazione anche con i musicisti del Conservatorio di Bologna per realizzare le colonne sonore dei videogiochi – spiega Ivan – I team selezionati partecipano anche alle più importanti iniziative di videogames all’estero, come Gamescome a Colonia e la Game Developers Conference di San Francisco. L’obiettivo è quello di impattare sull’intero tessuto produttivo come hub che accentra e accelera le migliori idee». Concentrandoci sui risultati, tra i progetti che hanno preso parte al Bologna Game Farm lo scorso anno, c’è un team che si è consolidato e sta per aprire un ufficio a Modena e un altro che è in fase di trattativa con un publisher per andare sul mercato entro la fine dell’anno.
Un mercato difficile ma redditizio
«Non si tratta di un mercato facile ma è un settore dove i capitali non mancano – afferma Ivan – Attualmente stiamo assistendo allo schiacciamento della fascia di mercato verso quella mediana, che rende difficile il business per gli italiani, perciò in tanti sono costretti all’autopubblicazione. Da un altro lato, questo campo, per sua natura, cambia in modo rapido e repentino».
L’Italia è il quarto mercato europeo nel campo dei videogames, che a livello globale vale 140 miliardi di dollari. «Ci sono tante competenze ma nel nostro Paese mancano i publisher – afferma Ivan – Inoltre, l’industria è mobile e per far sì che cresca è necessario il supporto da parte delle Università , per arrivare a fine anno con team ben strutturati. Gli investitori stranieri sono interessati al mercato italiano, ma solo se il gioco è bello e il team è completo e bravo. Si tratta di un comparto industriale che non ha bisogno né di energia né di materie prime».
I quattro videogames vincenti
I prototipi realizzati in Bologna Game Farm immergono i giocatori in mondi totalmente differenti tra loro: dal combattente al cuoco improvvisato, dalla ragazza giapponese alla scoperta di un mondo parallelo alle vecchie tribù che si battono a suon di “carta, sasso, forbice”. Molto diversi ma, ognuno a suo modo, estremamente innovativi. Scendendo più nel dettaglio, c’è “Farafter”, di Giant Cog Studio, che permette a un singolo giocatore di prendere parte a un sistema di combattimento a turni in un mondo aperto. Con una grafica basata sulla pixel art, si concentra la possibilità del giocatore di influenzare gli eventi nel mondo di gioco con diversi alberi di scelta e sistemi di moralità complessi.
Tutt’altro scenario è quello che si presenta con “Monster Chef”, di Studio Pizza. I giocatori impersonano Pranzo, uno chef dell’Ordine della Buona Forchetta, prestigiosa organizzazione di cuochi guerrieri, alle prese con la raccolta delle materie prime, la preparazione dei piatti e la gestione del ristorante. Lo scopo del gioco è proprio quello di aiutare il protagonista a gestire una locanda e soddisfare i palati (raffinati e non) degli abitanti del mondo di Delizia, destreggiandosi tra mostri fantasy pronti ad abbuffarsi.
“The First Hand” di Non Studio conduce il giocatore nel fantastico mondo di Zirria dove, dopo secoli di pace tra tribù, qualcosa sta cambiando. Sarà lo stesso gamer a scoprire cosa e come, esplorando il suo piccolo impero, accrescendo il suo potere e sconfiggendo i suoi nemici a colpi di “sasso, carta e forbici”.
“Ryoko” di Kodama Studio è un videogioco adventure puzzle game a scorrimento con parti platform. La protagonista è un’apprendista sacerdotessa della luce alla scoperta di un mondo parallelo con cui arriva in contatto all’inizio del gioco: il mondo degli spiriti. La missione sarà quella di scoprire le interconnessioni tra il suo mondo attuale e quello parallelo.