Intervista a Emanuele Montomoli, professore di Igiene e Medicina Preventiva all’Università di Siena, e founder di VisMederi, impresa di servizi qualificati in ambito Life Science, impegnata anche nello sviluppo di nuovo vaccino anti-Covid, made in Italy
Giovane, femminile, internazionale e ad alto tasso di innovazione. È la fotografia di VisMederi srl, azienda senese che offre servizi qualificati nell’ambito delle scienze della vita, a livello globale. “In questo momento, abbiamo contratti con 23 aziende farmaceutiche in tutto il mondo e 62 contratti in piedi per lo sviluppo di vaccini o prodotti vaccinali. VisMederi è una realtà al 100% made in Italy, ma con un fatturato che deriva al 100% dall’estero”, racconta a StartupItalia Emanuele Montomoli, founder e chief scientific officer dell’azienda, nonché professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva all’Università degli Studi di Siena.
Montomoli è stato uno dei protagonisti della puntata di “Life, il vocabolario dedicato al futuro della salute” – promosso da StartupItalia con il supporto di Sanofi Pasteur – dedicata proprio alle health startup, oggi più che mai impegnate a costruire alleanze virtuose con i colossi della salute. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sulla sua creatura, VisMederi, che adesso è impegnata anche nello sviluppo di un nuovo tipo di vaccino anti-Covid con l’Università Statale di Milano.
Prof. Montomoli, partiamo dai fondamentali: che cos’è e cosa fa VisMederi?
È una realtà nata nel 2009 come startup dell’Università di Siena. Ormai, dopo più di un decennio dalla sua nascita, VisMederi ha consolidato il suo core business, che in sostanza consiste nel fare analisi di laboratorio su campioni biologici, provenienti da studi clinici e preclinici.
Di cosa vi occupate, nello specifico?
Le aziende farmaceutiche produttrici di vaccini hanno bisogno di testare la sicurezza e l’efficacia delle loro molecole prima sugli animali e poi sulle persone. Quindi, i campioni biologici a disposizione, come i prelievi di sangue e di tessuto, devono essere analizzati per verificare che questi vaccini sviluppino davvero una risposta immunitaria, in sicurezza. Per fare questo tipo di test, c’è bisogno di aziende di supporto qualificate e VisMederi è una di quelle. Al riguardo, mi faccia raccontare un aneddoto, che può spiegare al meglio la scelta di sviluppare una società di servizi.
Prego.
All’inizio di questa attività, ho partecipato a un corso nella Silicon Valley, dove un docente ha fatto delle affermazioni che mi sono rimaste impresse. Nel settore Life Science, ci sono tre tipi di società: quelle di molecole, di diagnostica e di servizi. Secondo quel docente, delle prime, al successo ne arriva una su 10mila. Per le seconde, il rischio è inferiore, ma lo sono anche le percentuali di successo: ne arriva una su 100. Le ultime, invece, se hanno un buon servizio di qualità, di cui le grandi aziende farmaceutiche si possono fidare, arrivano quasi tutte, nell’ordine di una su 10. Ecco, noi abbiamo deciso di prenderci il minor rischio possibile, sviluppando un’azienda di servizi molto qualificati, legata comunque all’ambito della ricerca scientifica.
A che stadio di sviluppo è VisMederi?
Ormai, siamo a tutti gli effetti una media società europea con un’ottima percentuale di innovatività, che prevede un fatturato superiore ai 20 milioni di euro nel 2021. Se guardiamo alla nostra nicchia di mercato, in pratica, collaboriamo con quasi tutte le aziende farmaceutiche che producono vaccini. Allo stato attuale, in VisMederi lavorano 95 dipendenti, con un’età media che si attesta sotto i 35 anni e il 74% costituito da donne.
Con questo focus sullo sviluppo di vaccini, cosa ha fatto VisMederi quando è arrivata la pandemia?
Abbiamo subito cercato di capire insieme ai nostri storici collaboratori come poterli aiutare nello sviluppo di un vaccino anti-Covid.
E come è andata?
Molte aziende si sono fidate di noi anche perché avevamo già lavorato bene prima della pandemia, così hanno deciso di collaborare anche per il vaccino contro il virus SARS-CoV-2. Quella più ‘famosa’ è la collaborazione con Pfizer-BioNTech: l’azienda tedesca ci ha addirittura ringraziato sul suo sito, insieme ad altre aziende, per il contributo dato allo sviluppo del loro vaccino.
Lo scorso mese è arrivato l’annuncio della collaborazione con l’Università Statale di Milano per lo sviluppo di un nuovo tipo di vaccino anti-Covid, LeCoVax2. Di che si tratta?
La piattaforma vaccinale utilizzata per la produzione di LeCoVax2 è completamente diversa da quelle su cui si basano i vaccini attualmente utilizzati per il controllo di Covid-19 in Europa: RNA somministrati all’interno di piccole particelle lipidiche o virus modificati, incapaci di replicare e di determinare infezione, contenenti frammenti genici del virus SARS-CoV-2. Entrambe le piattaforme prevedono che la produzione delle proteine del virus – i cosiddetti antigeni, che scatenano la risposta immunitaria – avvenga all’interno delle cellule dei soggetti vaccinati.
La nostra, invece, si basa su un microrganismo unicellulare modificato, in grado sia di produrre che di trasportare le proteine virali che fungono da antigeni, e che possono quindi stimolare la produzione di anticorpi nel soggetto vaccinato. Il microorganismo selezionato, che funge come una sorta di micro-fabbrica di proteine, è Leishmania tarentolae – una Leishmania non patogena per l’uomo e che non ha nulla a che fare con quella che provoca la leishmaniosi nei cani -, somministrabile in forma inattivata.
A che punto siete?
In questo momento, abbiamo un buon prodotto, che nel primo studio sperimentale preclinico – effettuato su modello murino (sui topi, ndr) – ha dimostrato di essere sicuro e immunogenico rispetto al virus SARS-CoV-2. Ora sono in corso gli esperimenti su un gruppo più ampio di animali, dove ci siamo concentrati sulle formulazioni che ci sembravano più promettenti, selezionando anche un gruppo per effettuare la somministrazione per via rettale. Dai primi studi, infatti, sembra che questo tipo di vaccino possa essere somministrato anche per vie alternative ad ago e siringa: quella rettale è sicuramente la più promettente. Secondo noi, questa possibilità consentirebbe a molte persone di superare la paura dell’ago, contribuendo a favorire una maggiore accettazione delle vaccinazioni. A settembre, comunque, avremo i risultati di questi esperimenti, dopodiché cercheremo un partner commerciale per lo sviluppo degli studi sull’uomo.
Professore, lei è anche chairman e founder dell’Institute for Global Health presso l’Università di Siena. A proposito di salute globale, qual è la lezione che possiamo apprendere da questa pandemia?
Di non deprimere e penalizzare la sanità pubblica. In Italia, abbiamo assistito per anni a tagli indiscriminati alla sanità e, in particolare, a quella pubblica. Poi, però, i risultati si vedono: quando arriva una pandemia, siamo completamente impreparati. Spero che questa emergenza ci abbia insegnato quanto sia necessario invertire la rotta, investendo di più sulla prevenzione, la sanità pubblica e una buona pianificazione ospedaliera.