Gianfranco Incarnato, vice direttore generale per gli affari politici e direttore centrale per la sicurezza, spiega quale sarà il metodo della proposta
In occasione del G7 del prossimo anno, destinato a tenersi nella Penisola, il governo italiano presenterà la proposta di un codice di condotta internazionale sul comportamento degli Stati nel cyber spazio.
A dirlo in un’intervista a Cyber Affairs è Gianfranco Incarnato, vice direttore generale per gli affari politici e direttore centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
“Con il summit Nato di Varsavia, durante il quale il cyber spazio è stato riconosciuto come un dominio operativo al pari di terra, mare, aria e spazio extra atmosferico – commenta il diplomatico – è venuta meno ogni residua ambiguità sulla militarizzazione della dimensione cibernetica. Servono dunque quanto prima regole comuni di base per inquadrare i rapporti fra gli Stati, per disciplinare le implicazioni militari e tecnologiche conseguenti a questo cambiamento, che equipara ufficialmente il cyber spazio ad un potenziale campo di battaglia e apre alla creazione e all’uso di veri e propri arsenali di armi informatiche, di fatto già sviluppati da alcuni Paesi, per scopi non più difensivi, ma offensivi, di deterrenza”.
La proposta italiana secondo Incarnato
Con un’iniziativa attesa da anni, per mettere ordine a livello globale nel cyber spazio, spiega Incarnato, la proposta italiana punterà non tanto sulla definizione di un trattato internazionale – che “ha tempi di ratifica molto lunghi, almeno 10-12 anni”, e quindi “non è adatto ai tempi di risposta rapidi richiesti da questo dominio e dall’evoluzione delle tecnologie e delle minacce in ambito informatico”, ma su uno specifico codice di condotta condiviso dalle nazioni e da esperti in momenti diversi.
“La nostra proposta nasce anche da ragioni pratiche. In passato, Russia e Cina avevano chiesto un trattato in materia, ma l’Occidente si era opposto perché ritenevano che molti Paesi potessero usarlo per bloccare la libertà di informazione nei loro confini. Ma oggi la situazione è tale da non poter più rimandare una soluzione al problema. Non ci nascondiamo che si tratta di un progetto ambizioso, perché molte nazioni si sono mosse finora in totale autonomia ed è straordinariamente cresciuta, in parallelo, la capacità d’azione di organizzazioni criminali, terroristiche, ma consideriamo nostro dovere fare tutto il possibile per trovare una convergenza sul tema”.
L’impianto normativo, in fase avanzata di definizione, rimarca ancora il diplomatico, ha “l’obiettivo principale di evitare pericolose escalation nel cyber spazio, creando regole condivise fra gli Stati su cosa è concesso, cosa non lo è, sulla gravità di alcuni tipi di azione e sugli effetti e le risposte da scongiurare”.
Quanto agli step che dovrebbero portare alla condivisione del codice, Incarnato dice che “entro la fine di dicembre avremo una bozza, da dare a gennaio ai partner G7 per una revisione che lo implementi e modifichi in alcuni aspetti. Auspicabilmente, ad aprile contiamo di negoziare e finalizzare il testo, che dovrebbe passare da una approvazione preliminare dei ministri degli Esteri dei Paesi G7, e poi dal disco verde del summit del 26 e 27 maggio a Taormina. Ci adopereremo inoltre per consultare anche Stati che non fanno parte del gruppo delle sette potenze, in modo da raccogliere reazioni e commenti di più ampia portata e il massimo consenso possibile, in vista di un decisivo passaggio in sede di Nazioni Unite, per dare a queste norme un carattere mondiale”.
L’argomento, già di per sé corposo, va di pari passo, secondo il rappresentante degli Esteri, “con un’armonizzazione delle giurisdizioni nel cyber spazio”. Circa 10 giorni fa, racconta, “si è svolta a Parigi la prima conferenza internazionale sulla Jurisdiction on Internet, che ha riunito esperti e addetti ai lavori di ogni settore e da ogni parte del pianeta.
Regole e conflitti nel cyberspace
Uno dei principali problemi che oggi causa dispute legali particolarmente controverse è dato dal fatto che, a causa del cloud computing, per molti Stati i dati di tutta una serie di servizi digitali non vengono più conservati in ambiti territorialmente definiti, ma in grandi data center fuori dai propri confini. In questo modo i governi non hanno alcun controllo sulle informazioni riguardanti propri cittadini e stanno reagendo in modo erratico.
I casi sono molteplici. Dal 2012, si è assistito a più di mille contenziosi. Poche settimane fa, un procuratore tedesco ha lanciato un’azione contro Facebook, perché l’azienda non farebbe abbastanza per limitare la diffusione di espressioni violente sulla sua piattaforma. Il 2 dicembre, il Consiglio di Stato francese si esprimerà su una causa che chiede l’applicazione da parte di Google del “diritto all’oblio”, non solo nell’Ue ma in tutto il mondo. E la Russia ha recentemente bloccato LinkedIn, perché non avrebbe ottemperato all’obbligo di conservare i dati all’interno del territorio russo. C’è il rischio che, per ovviare a questi inconvenienti, in pochi anni si arrivi a una totale frammentazione di Internet, che da aperto potrebbe passare ad avere miriadi di intranet che non comunicano fra loro o che lo fanno attraverso canali privi di ogni garanzia. Come per la militarizzazione dello spazio cyber, anche a questi problemi occorre porre quanto prima rimedio. E anche l’Italia, a partire dalla definizione di una nuova strategia nazionale di cyber sicurezza, non potrà non tenerne conto”, conclude Incarnato.
Fonte: CyberAffairs