Alexandra Elbakyan è un’esperta di informatica di origine kazaka poco più che trentenne che è diventata la bestia nera delle più grandi case editrici del mondo perché ha trovato il sistema per bucare la barriera del copyright
Se vi piace la storia leggendaria di Robin Hood, sono sicura che vi appassionerete alla storia vera di Alexandra Elbakyan, un’esperta di informatica di origine kazaka poco più che trentenne che è diventata la bestia nera delle più grandi case editrici del mondo perché ha trovato il sistema per bucare la barriera del copyright mettendo a repentaglio la loro fonte primaria di guadagno.
Immaginate di voler leggere un articolo di medicina, informatica, geofisica, matematica, astronomia (o quello che volete voi), appena cliccate sul pulsante download scoprirete che, fatto salvo il caso che si tratti di un articolo in open access, per soddisfare la vostra curiosità ci vogliono le credenziali di accesso. Se state operando da una università o da un istituto di ricerca che ha pagato un qualche tipo di abbonamento cumulativo alle riviste di quella casa editrice, il sistema riconoscerà il vostro IP e vi aprirà la porta della conoscenza. Se invece siete a casa, oppure la vostra istituzione non si può permettere di pagare le spese di abbonamento, che crescono vertiginosamente anno dopo anno, la porta resterà chiusa e farete quello che faccio io quando non sono in ufficio: chiedete a qualche collega di fare il download e di mandarvi il file.
A me la cosa succede saltuariamente, anche perché adesso ho imparato un modo di farmi riconoscere anche quando sono fuori sede, ma non faccio fatica ad immaginare come deve essere difficile la vita di chi, per poter svolgere il suo lavoro di ricerca, avrebbe bisogno di accedere a delle informazioni che sono chiuse dietro ad un paywall. Se vuoi accedere devi pagare … o trovare una soluzione alternativa.
E’ quello che ha fatto Alexandra Elbakyan quando era una studentessa kazaka povera di mezzi ma ricca di idee, basate su una profonda conoscenza dei sistemi di sicurezza informatici. Così, per permettere a tutti, ricchi e poveri, di accedere alle pubblicazioni scientifiche nel 2011 è nato Sci-Hub una approssimazione della biblioteca universale liberamente disponibile. Dato il titolo di un articolo, Sci-Hub recupera il testo e lo archivia a beneficio di altri che potrebbero averne bisogno.
88 milioni di articolo scientifici disponibili
La brillante Alexandra non fa magie, è semplicemente riuscita a convincere un consistente numero di ricercatori a fornire le loro credenziali legittime per entrare nei siti a pagamento. La versione non è univoca, alcuni sostengono che le credenziali siano state carpite con l’inganno. Sia come sia, Sci-Hub ospita (ad oggi) 88 milioni di articoli scientifici che spaziano su tutte le discipline e sono sempre più richiesti.
In un mondo accademico che fa sempre più fatica a coprire la spese degli abbonamenti, il fenomeno Sci-Hub è un’ancora di salvezza per molti ma un pericolo gravissimo per le case editrici che si trovano in una posizione decisamente indebolita quando devono negoziare nuovi accordi per gli abbonamenti dei grandi campus universitari e per i centri di ricerca. Perché pagare quello che si può avere gratis? Per questo i gruppi editoriali che dominano il panorama scientifico a livello mondiale hanno iniziato azioni legali contro Alexandra che si guarda bene dal comparire in tribunale. Sa che il sogno della biblioteca universale può molto poco contro le leggi sul Copyright che sono state puntualmente applicate risultando in condanne esemplari ma destinate a rimanere lettera morta.
Nel 2016, per esempio, la casa editrice Elsevier, un vero colosso dell’editoria scientifica (ed una delle più piratate), ha portato in causa Alexandra Elbakyan nella corte distrettuale di New York. Come era facile prevedere il giudice ha dato ragione ad Elsevier condannando Alexandra al pagamento di una ammenda di 15 milioni di dollari. Una bellissima vittoria sulla carta: Alexandra vive in Russia, ben lontana dalla portata della legge americana, e non ha alcuna proprietà negli USA. Anche i siti che rendono disponibili gli articoli piratati sono fuori dal territorio USA e non hanno fatto una piega, continuando ad operare, come hanno sempre fatto. Al più, se un sito viene oscurato, ne viene aperto un altro, come succedeva molti anni fa con i siti pirata dai quali si potevano scaricare i file musicale.
Il fronte editoriale ha mostrato qualche crepa alla fine del 2016 quando la prestigiosa rivista Nature ha incluso Alexandra tra le 10 persone più importanti del 2016, dandole il bel titolo di pirata della carta, ma è stato un breve iato.
Nel 2017, Alexandra è stata portata in tribunale dalla American Chemical Society ed è stata condannata al pagamento di una multa di 4,8 milioni di dollari e le cause sono continuate in varie parti del mondo. Il risultato più importante per le case editrici è stato bloccare l’accesso a Sci-Hub in diversi stati. In linea di principio, in 11 nazioni, tra le quali Inghilterra, Italia, Germania, Francia e Svezia, non dovrebbe essere possibile usare Sci-Hub, ma in rete si trovano istruzioni per aggirare i blocchi.
Adesso la controversia legale è arrivata in India dove a breve verrà discussa la causa intentata da Elsevier, Wiley e la American Chemical Society contro Alexandra. Confesso di non avere capito perché questi tre gruppi che rappresentano il 40% dell’editoria scientifica del mondo siano andati a New Delhi per combattere la loro battaglia. Forse sperano di riuscire a bloccare l’accesso a Sci-Hub che è usatissimo da tutti gli scienziati indiani (che ne hanno un disperato bisogno), ma questa volta la condanna potrebbe non essere scontata. In India la legge sul copyright è diversa da quella del mondo occidentale e la riproduzione di libri o articoli a scopo educativo non è considerata un reato.
Questa volta sembrerebbe che Alexandra possa avere una chance di uscire indenne, cosa che sarebbe una sconfitta durissima per le case editrici perché rappresenterebbe un pericoloso precedente.
Per Alexandra sarebbe una bella soddisfazione e la ripagherebbe per l’offesa che le è stata fatta nel 2017 quando una nuova specie di vespa parassita scoperta in Messico è stata chiamata Idiogramma elbakyanae. Essere considerata una piratessa, e quindi condannata a pagare multe milionarie, può anche essere un motivo di vanto, dare il nome ad una vespa parassita, proprio no.