Da 50 milioni di utenti interessati, ora si parla di circa 87 milioni di profili acquisiti illegalmente. Ma le parole del fondatore non convincono a pieno
L’ombra lunga dello scandalo Cambridge Analytica continua a estendersi su Facebook. E come accade in molti casi, la toppa che si cerca di mettere sulla vicenda risulta essere peggio del buco. Mark Zuckerberg infatti, attraverso un post sul proprio blog, ha voluto chiedere scusa agli utenti, chiarendo alcuni aspetti della vicenda ancora poco chiari. Di qui la scoperta: non sarebbero stati 51 milioni i profili Facebook violati ma ben 87, tra cui oltre 200mila in Italia.
Mark Zuckerberg ha spiegato che tale cifra corrisponde al numero massimo di persone che potrebbero essere state interessate dallo scandalo, anche se non è ancora chiaro se quei dati siano stati effettivamente utilizzati da Cambridge Analytica. Che, dal canto suo, respinge tali stime, parlando di (massimo) 30 milioni di persone.
Ovviamente la notizia, insieme ad una serie di ammissioni più o meno gravi fatte dal fondatore di Facebook, ha generato una nuova ondata di polemiche e accuse nei confronti di Zuckerberg, reo di non avere tutelato a sufficienza i dati degli utenti.
Operazione trasparenza
Un’operazione trasparenza dunque, tutt’altro che positiva per il colosso dei social network. Ma i guai per Facebook non finiscono certo qui. Da quando, a metà marzo, è esploso il caso Cambridge Analytica infatti, l’azienda ha perso il 13% circa del proprio valore. E i possibili strascichi legali potrebbero durare per anni.
«Ho commesso un enorme errore», ha dichiarato l’amministratore delegato di Facebook. «Ma, noi non compriamo e vendiamo dati degli utenti». Zuckerberg si è detto comunque convinto di essere ancora la persona giusta per guidare l’azienda: «Credo che si debba imparare dagli errori e capire cosa serve fare per andare avanti», ha spiegato.
Nel tentativo di recuperare il danno d’immagine però, ha anche ammesso altri errori nella gestione della privacy. Facebook, ad esempio, analizza il contenuto di tutti messaggi che le persone si scambiano tramite Messenger, con l’obiettivo di evitare qualsiasi violazione delle regole. Inoltre, fino a qualche tempo fa, dal numero di telefono o l’email di un utente, era possibile risalire ad altre informazioni personali degli stessi. Un grosso problema, che ha potenzialmente interessato tutti i 2 miliardi di iscritti al servizio.
E, anche se, nel primo caso, i controlli vengono fatti in modo automatico e anonimo e, nel secondo, il problema sembra essere ormai risolto, è chiaro che queste dichiarazioni non sembrano aiutare particolarmente la società di Menlo Park.
Zuckerberg davanti al Congresso
C’è da dire che, sin da subito, Facebook ha attivato una serie di provvedimenti per migliorare la protezione della privacy degli utenti su Facebook. Annunciando, ad esempio, la riduzione dei dati resi accessibili alle applicazioni di terze parti e una gestione più attenta, con maggiori controlli e informazioni per gli utenti.
A partire dal prossimo 9 aprile poi, gli utenti coinvolti nello scandalo Cambridge Analytica visualizzeranno un avviso sulla propria bacheca e potranno così modificare (attraverso un’area apposita) le autorizzazioni concesse alle applicazioni, scegliendo quali rimuovere o limitare.
È di ieri poi, la notizia della chiusura di circa 270 account legati alla Internet Research Agency (Ira), la fabbrica di troll russa accusata di aver comprato spazi a pagamento sul social per diffondere fake news e influenzare elezioni straniere.
Insomma, Marck Zuckerberg sta cercando con forza di ricostruire la propria “verginità”. Ma sarà davvero dura. Intanto, il prossimo appuntamento è fissato per l’11 aprile, data della sua audizione davanti alla Commissione energia e commercio della Camera Usa. Il fondatore e Ceo di Facebook dovrà “spiegare il ruolo della sua società” nella vicenda dei dati usati a scopi elettorali da Cambridge Analytica.
Oltre al Congresso poi, anche la Federal Trade Commission, l’autorità per la concorrenza negli Stati Uniti, sta indagando su Facebook. Il nodo è un accordo del 2011, stipulato proprio per proteggere meglio la privacy degli iscritti. In caso di irregolarità, l’azienda potrebbe essere costretta a pagare una multa salatissima.