Secondo un report, dopo il Coronavirus l’Occidente sarebbe più diffidente nei confronti del Dragone, che si prepara anche al peggiore degli scenari possibili
Letto ora, alla luce delle ultime sparate del presidente statunitense Donald Trump in merito alle “prove” che la Casa Bianca avrebbe sulla nascita in provetta del Covid-19, naturalmente in Cina, il rapporto che il presidente Xi Jinping stringe tra le mani da ormai oltre un mese appare inevitabilmente superato, scavalcato da una crisi che galoppa. Ma questo non lo rende meno preoccupante, perché quel documento sarebbe alla base della decisione di Pechino di prepararsi a ogni tipo di scenario futuribile, incluso quello bellico. Ma andiamo con ordine.
Di quale documento parliamo?
Si tratta di un rapporto interno redatto dal think tank governativo China Institutes of Contemporary International Relations e diffuso da Reuters: rapporto presentato all’inizio del mese scorso dal ministro della Sicurezza di Stato ai massimi leader cinese, tra cui il presidente Xi Jinping. La conclusione del documento è che il risentimento globale contro la Cina è al più alto livello degli ultimi 31 anni, ossia dal massacro di piazza Tiananmen, quando il regime soffocò nel sangue la protesta pacifica dei giovani cinesi passata alla storia con la foto simbolo del ragazzo solo contro il carroarmato.
Una ostilità dell’intero mondo occidentale (e non solo: tra Cina e Giappone non è certo mai corso buon sangue) che si manifesta in un momento in cui le relazioni con gli Stati Uniti sono già traballanti a seguito della guerra dei dazi voluta da Trump.
Da qui, probabilmente, la decisione dell’esecutivo cinese di aumentare gli aiuti (anche delle sue maggiori industrie, che poi sono nazionali) a favore dei Paesi maggiormente colpiti dalla pandemia, tra cui il nostro. Ma, è notizia delle ultime ore, proprio gli aiuti cinesi non sono affatto piaciuti alla Casa Bianca, che li ha letti come un tentativo di Pechino di sottrarre zone di influenza a Washington.
La Cina si prepara anche a un conflitto
La persona che ha visto il rapporto e parlato con Reuters sostiene che la Cina si stia preparando al peggiore scenario ipotizzato, ovvero un confronto armato con gli Stati Uniti. Il think tank che ha redatto il rapporto lavora dal 1980 per il ministero della sicurezza cinese che a sua volta è uno dei punti di riferimento della Intelligence nel Paese. Il think tank non ha risposto alla richiesta di commento di Reuters così come il ministero della Sicurezza di Stato. Un portavoce del governo ha commentato: “non ho rilevanti informazioni in proposito”.
Fauci smentisce (ancora) Trump
Intanto, dall’altra parte dell’Oceano, il presidente statunitense Trump viene smentito ancora una volta dal suo consigliere per l’emergenza Coronavirus. L’epidemiologo Anthony Fauci ha infatti dichiarato di non credere alla possibilità che il Covid-19 provenga da un laboratorio cinese.
In un’intervista a National Geographic, Fauci, massimo esperto americano di malattie infettive, ha spiegato: “Se si guarda all’evoluzione del virus nei pipistrelli e a cosa c’è là fuori adesso, le prove scientifiche vanno fortemente nella direzione che il virus non avrebbe potuto essere manipolato artificialmente o deliberatamente”.
Secondo Fauci, “guardando all’evoluzione nel tempo tutto indica fortemente che questo virus si è evoluto in natura e poi ha saltato specie”. Ancora domenica il segretario di Stato Mike Pompeo aveva ribadito la posizione dell’amministrazione Trump, ossia che ci sono prove importanti che il virus provenga da un laboratorio cinese.
Il vero piano di Trump? Nascondere le proprie colpe
È probabile però che questa volta Trump non miri a fare scoppiare un’altra guerra dei dazi, tanto meno un conflitto armato, dato che gli Stati Uniti stessi saranno travolti dalla tempesta economica. Cosa vuole ottenere quindi il presidente? È più logico ipotizzare che Trump abbia bisogno di una exit strategy in vista delle ormai prossime presidenziali.
A seconda di come gli USA usciranno dalla pandemia, l’attuale inquilino della Casa Bianca (che fino all’ultimo ha sostenuto che il Covid-19 fosse “meno di una banale influenza”), potrebbe ritrovarsi nella scomoda situazione di giustificare ai propri avversari il proprio operato, affrontare il resto della campagna elettorale in difesa e non in attacco e, soprattutto, spiegare ai propri elettori il perché di tanto attendismo. Da qui la plausibile scelta di individuare in fretta un capro espiatorio cui addossare tutte le colpe.
Il calo nei sondaggi lo rende ancora più imprevedibile
Frustrato da un paio di sondaggi interni che la scorsa settimana lo indicavano dietro Joe Biden in alcuni Stati in bilico nelle presidenziali, Donald Trump avrebbe inoltre sfogato la sua ira in una conference call contro il suo campaign manager Brad Parscale, che aveva usato i dati negativi per incoraggiarlo a ridurre la frequenza dei briefing sul Coronavirus o a non rispondere alle domande dopo la gaffe sulla cura con iniezioni di disinfettanti. Lo riportano i media USA.
Virus in provetta? L’Australia si smarca
Secondo il Sydney Morning Herald, che cita “alti esponenti dei servizi australiani”, il famoso documento di ricerca condiviso in ambienti dell’alleanza di intelligence Five Eyes tra Usa, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda e Canada, sarebbe in massima parte basato su notizie di stampa e non conterrebbe alcun materiale da indagini di intelligence.
Parliamo del ‘dossier’ di appena 15 pagine, ampiamente citato dai media locali e internazionali – tra cui il Daily Telegraph di Sydney del gruppo Murdoch – sul presunto insabbiamento delle origini del virus da parte della Cina alla base delle recenti frizioni tra Washington e Pechino. Diverse fonti di Intelligence di alto livello che hanno parlato all’Herald hanno confermato che l’Australia non ha ancora ricevuto alcuna evidenza che suggerisca fortemente che l’Istituto di Virologia di Wuhan sia stato la fonte dell’epidemia. Le agenzie di intelligence non hanno potuto escludere un ruolo del laboratorio, ma ritengono che la causa più probabile del virus sia il mercato di Wuhan. Anche il primo ministro australiano Scott Morrison ha detto che il governo non ha forti evidenze che leghino il laboratorio di Wuhan al virus.