L’analisi bisettimanale, curata dalla startup innovativa Storyword, sui temi che hanno tenuto banco sulla stampa estera durante i 14 giorni appena trascorsi
Nuove tecniche, stesso obiettivo: diffondere disinformazione. Pechino ha fatto ricorso all’intelligenza artificiale per realizzare immagini al fine di dimostrare che gli incendi che recentemente hanno colpito le Hawaii non fossero naturali bensì il risultato di una nuova “arma metereologica” degli Usa. E lo ha fatto, come riporta il New York Times, tramite l’attività dei suoi cosiddetti wolf warrior. Nonostante la campagna abbia coinvolto diverse piattaforme e sia stata realizzata in 31 lingue (incluso l’italiano), il suo impatto, secondo i ricercatori di Microsoft, Recorded Future, RAND Corporation, NewsGuard e Università del Maryland, sembra essere stato minimo, almeno secondo le prime indicazioni. Questa iniziativa, per la Cina, rappresenta una novità: la propaganda di Pechino ha spesso difeso le proprie politiche interne (si pensi al Covid) ed estere (Taiwan). Ora sembra che l’obiettivo sia seminare discordia all’interno dei confini americani. E non è un caso che sia arrivata proprio in un momento in cui l’amministrazione Biden e il Congresso stanno tentando da un lato di contenere la spinta della Cina sul territorio americano con l’augurio di evitare un conflitto aperto, dall’altro di ridurre il rischio che l’IA venga utilizzata per amplificare i pericoli causati dalla disinformazione. Anche la Russia, tuttavia, ha fatto uso politico degli incendi di Maui diffondendo contenuti che suggerivano al governo di spendere i soldi destinati alla guerra in Ucraina per i soccorsi nelle terre colpite dalle catastrofi. Manca ancora una prova effettiva che Russia e Cina stiano lavorando insieme su campagne di disinformazione mirate, ma spesso si fanno eco quando si tratta di criticare le politiche statunitensi.
TikTok l’africano
Dopo Stati Uniti, Canada, Unione europea, Regno Unito e India, TikTok deve fare i conti con i paesi africani. Lo scorso agosto, Senegal e Somalia hanno bandito l’app cinese, invitando Kenya e Uganda a fare lo stesso, per i rischi legati alla sicurezza e alla cultura del Paese. Da un lato, TikTok ha affermato di collaborare costantemente con i governi locali per garantire l’uso dell’app agli utenti dei paesi coinvolti, dall’altro diversi attivisti sostengono che dietro il divieto si celano motivi prettamente politici. In altre parole, si tratterebbe di un tentativo per controllare la narrazione e reprimere le critiche, che fa seguito agli sforzi dei governi per censurare i media non vicini alle istituzioni. Il Senegal, in particolare, aveva già bloccato diverse piattaforme social come Facebook, Instagram, Telegram, WhatsApp e YouTube all’inizio di giugno, nel corso delle manifestazioni per la condanna del leader dell’opposizione Ousmane Sonko. In Kenya, invece, il Presidente ha concluso un accordo con il CEO di TikTok, Shou Zi Chew, per istituire un ufficio per la moderazione dei contenuti. Come racconta Rest of World, nonostante le pressioni governative, l’app cinese continua a guadagnare terreno tra i giovani africani: qui, piattaforme come TikTok, non rappresentano solo intrattenimento o fonte di reddito, ma anche potenti strumenti con cui i cittadini smascherano corruzione e nepotismo.
Threads, che combini?
Non passano neanche 24 ore dal lancio della nuova funzione di ricerca di Threads ed è subito polemica. Nel tentativo di cercare contenuti relativi al Covid, agli utenti compariva una schermata vuota con un solo pop-up che li portava ai siti web dei centri per il controllo e la prevenzione delle malattie. Meta, madre di Threads, ha dichiarato al Washington Post che sta intenzionalmente bloccando questo tipo di ricerca non fornendo tuttavia un elenco completo delle keyword bloccate. Parte di questo elenco è stato scoperto da una ricerca condotta dal giornale, dalla quale sono emersi altri termini bloccati quali “sesso”, “nudo”, “porno”, “coronavirus”, “vaccini” e “vaccinazione”. Diversi operatori sanitari hanno criticato la decisione dell’azienda, a maggior ragione in virtù dell’attuale aumento dei casi di coronavirus. “Censurare le ricerche per covid e long covid lascerà solo una lacuna informativa che sarà colmata dalla disinformazione proveniente da altre fonti”, ha detto Lucky Tran, direttore di science communication presso la Columbia University.A conferma della gravità della situazione, secondo un sondaggio del 2021 del Pew Research Center, circa 4 adulti americani su 10 credono che i social media siano un’importante fonte di notizie sul vaccino contro il coronavirus.
Elon contro il New York Times
Il nuovo nemico di Elon Musk sembra essere il New York Times. Secondo una ricerca di NewsWhip su 300.000 account “influenti” di X, il miliardario texano ha ridotto drasticamente l’engagement dei post su X che contengono collegamenti agli articoli della nota testata americana. Dalla ricerca, riportata da Semafor, emerge anche tale calo non è stato registrato in altre importati testate come il Washington Post. Per fare un esempio, alcuni recenti tweet di Barak Obama su articoli del Times hanno raggiunto meno di un milione di utenti; mentre un tweet dell’ex presidente su un articolo di Politico ne ha raggiunti 13 milioni. Contattati da Semafor, sia X sia il Times non hanno commentato. Non è ancora chiaro il motivo di questa mossa, probabilmente si tratta di una conseguenza della svolta conservatrice della piattaforma. Da notare tuttavia che non è la prima volta che Musk calpesta i piedi al Times: tra i vari episodi, il fondatore di Tesla ha in passato criticato la copertura del giornale degli eventi che hanno colpito il “suo” Sud Africa, consigliando agli utenti come aggirare il paywall del Times e, questa estate, ha rallentato il traffico di X verso alcuni siti di notizie tra cui il New York Times. Per quest’ultimo, la riduzione dell’engagement non è un grosso problema: come per altre importanti testate, la maggior parte del suo traffico deriva da altre fonti.
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