I dati dell’AI di Pechino: il mercato vale quasi 70 miliardi di dollari. Oltre 4mila imprese coinvolte. E anche la ricerca corre: negli ultimi dieci anni sono state depositate quasi 390mila domande di brevetti
Trasformazione del modello economico. Sostegno alle capacità industriali e sanitarie. Estensione di governance sociale. Avanzamento tecnologico, ovviamente. E sviluppo militare. Sono questi i motivi principali per cui la Cina punta tanto, tantissimo, sull’intelligenza artificiale. Un settore su cui vuole raggiungere la leadership a livello globale. Di basi per farlo ne ha diverse. Già da qualche anno in molti danni per scontato il sorpasso sugli Stati Uniti. La spinta decisiva alla fiducia di Pechino è arrivata dal super guru del settore Lee Kai-fu. Nato a Taiwan e con una lunga carriera in Cina continentale tra Google e fondi di investimento, nel 2018 Lee ha dato la luce al bestseller A.I. Superpowers, nel quale profetizza che Pechino è destinata a vincere la corsa grazie al vantaggio sui dati (dispone di un bacino enorme visto che nel paese ci sono oltre un miliardo di utenti internet. Ma anche grazie alla vicinanza tra autorità politica e realtà private. Gli imprenditori seguono le priorità strategiche indicate dal governo, fenomeno accentuato dalla campagna di rettificazione che ha interessato negli ultimi anni le grandi piattaforme digitali e il settore privato. Gli sforzi di innovazione e gli investimenti sono stati riorientati sui filoni che più stanno a cuore al Partito comunista, vale a dire microchip e, appunto, intelligenza artificiale.
Pechino: i numeri dell’AI
Gli obiettivi di sviluppo su questi settori sono di lunga data, ma il senso di urgenza per raggiungerli è stato aumentato dalla contesa tecnologica in corso con gli Stati Uniti, impegnati nel tentativo di escludere la Cina da alcune delle catene di approvvigionamento più avanzate. La manovra di Washington sembra in grado di produrre qualche risultato sul fronte dei semiconduttori. Dopo le ultime restrizioni della Casa Bianca che hanno visto l’arruolamento di Giappone e Paesi Bassi, le aziende cinesi faticano a reperire componenti e macchinari chiave. In particolare per quanto riguarda quelli utili alla litografia ultravioletta, processo chiave della produzione di chip. Qui l’olandese ASML ha un sostanziale monopolio sulle tecnologie più avanzate e, suo malgrado, è sempre più portata a ridurre la sua esposizione al mercato cinese. Diverso il discorso sull’intelligenza artificiale, dove la Cina ha un livello di sviluppo più avanzato e meno dipendente dall’esterno rispetto ai semiconduttori. Già oggi la Cina è il primo paese al mondo per quantità di nuovi brevetti. Negli ultimi dieci anni sono state depositate quasi 390mila domande, pari al 74,7% del totale. Gli esperti cinesi sono prolifici, pubblicando il 27,5% di tutti gli articoli di riviste sull’intelligenza artificiale a livello mondiale, mentre i ricercatori statunitensi rappresentano il 12%, secondo l’Institute for Human-Centered AI di Stanford. Non si tratta di una leadership solo quantitativa ma anche qualitativa. Nel 2020, per la prima volta, gli articoli accademici cinesi sono stati più citati di quelli americani nelle pubblicazioni scientifiche mondiali di settore.
Lo stato di grande avanzamento del settore è stato messo in mostra alla recente Conferenza mondiale sull’intelligenza artificiale che si è svolta a Shanghai. Hanno partecipato oltre 400 compagnie in uno spazio espositivo di circa 50 mila metri quadrati. Più di 30 prodotti all’avanguardia hanno debuttato per la prima volta. Tra questi, i robot umanoidi di Fourier (finanziata dalla saudita Aramco), la versione 4.0 del sistema di volo senza pilota di Meituan, i chip per le applicazioni di intelligenza artificiale di Enflame, Vastai Technologies e Hexaflake. Per l’occasione sono stati snocciolati diversi dati che dimostrano che l’industria cinese dell’intelligenza artificiale è in pieno sviluppo, con una dimensione di 500 miliardi di yuan (circa 69,4 miliardi di dollari) e un numero di imprese di intelligenza artificiale che supera le 4300 unità . Sono state costruite più di 2500 officine e fabbriche digitali e intelligenti in tutto il paese, che hanno contribuito ad accorciare il ciclo di ricerca e sviluppo del 20,7% e a migliorare l’efficienza produttiva del 34,8%”.
Una rivoluzione pratica
Rispetto all’occidente, in Cina l’utilizzo dell’intelligenza artificiale è anche e soprattutto pratico e industriale. Comprese le nuove applicazioni di tipo generativo in stile ChatGPT, di cui un po’ tutti i colossi digitali cinesi hanno presentato la loro versione proprio in concomitanza dell’evento di Shanghai. Le nuove offerte vanno da Ernie Bot (Baidu), SenseChat (SenseTime) e Tongyi Qianwen (Alibaba), che più o meno significa “verità da mille domande”. Come ha sottolineato l’esperto di mondo digitale cinese Rogier Creemers (Università di Leida): «I servizi occidentali, come ChatGPT, si sono concentrati sulla capacità di scrivere saggi e poesie, raccontare barzellette o rispondere a domande di carattere politico, in altre parole su argomenti importanti per la classe dei chiacchieroni», ha scritto sui DigiChina. «I servizi cinesi saranno ovviamente soggetti a censura politica. Tuttavia, questi emergono anche all’interno di un diverso panorama di politica industriale, che vede il futuro di queste tecnologie strettamente intrecciato con i prodotti e i servizi esistenti», ha aggiunto. Un esempio è quello di Baidu, che ha già annunciato partnership per il suo Ernie con produttori di elettrodomestici e automobili. Applicazioni di intelligenza artificiale e robot sono già impiegati in diversi comparti industriali ma anche e per certi versi soprattutto nel settore sanitario.
Governance sociale e sviluppo militare
C’è poi l’aspetto di governance sociale. Basti pensare allo sviluppo delle smart city, su cui la Cina è forse il paese più convinto al mondo. Xiong’an, ribattezzata “città del futuro”, è il fiore all’occhiello del progetto di ammodernamento tecnologico voluto dal governo. Il suo sviluppo è una priorità strategica già dal 2017. I critici sottolineano l’utilizzo che si fa dell’intelligenza artificiale per esercitare il controllo, per esempio con i riconoscimento facciale o le tecnologie di sorveglianza, applicate in maniera estensiva in diverse città e nella regione autonoma dello Xinjiang. Strumenti in realtà utili anche durante la fase di contenimento del Covid-19, ma che sono ormai entrati stabilmente nell’ecosistema urbano cinese. L’Esercito popolare di liberazione è poi quello che insistendo con maggiore vigore sulle applicazioni militari. Un esempio? I ricercatori cinesi stanno sviluppando lanciamissili “invisibili”, in grado di eludere il rilevamento di satelliti, radar e droni nemici. Ma c’è anche un rafforzamento dell’integrazione tra uomo e macchina, con i voli sincronizzati tra droni senza pilota e jet da combattimento. Per non scordare l’analisi accelerata di dati, utile ad aiutare i comandanti sul campo a prendere decisioni più rapide. Infine, attenzione anche alle operazioni di disinformazione, componente essenziale nelle guerre del terzo millennio, comprese quelle ibride.
Il paradosso è che la Cina diventa sempre più un punto di riferimento globale per l’intelligenza artificiale, ma allo stesso tempo i suoi legami con alcune parti del mondo in materia sembrano allentarsi. Almeno a una prima, superficiale, osservazione basato sui venti di disaccoppiamento, o meglio di “riduzione del rischio” perseguita dagli Stati Uniti e dall’Europa. Questo processo è stato ben visibile alla Conferenza di Shanghai. Quest’anno tra gli sponsor statunitensi c’era solo Qualcomm, mentre nel 2019 apparivano anche Ibm, Microsoft e Amazon. L’obiettivo dichiarato della Cina è quello di diventare leader mondiale dell’intelligenza artificiale entro il 2030, di monetizzare il settore in un’industria da un trilione di yuan (circa 150 miliardi di dollari) e di emergere come forza trainante nella definizione di norme e standard etici. Sì, visto che sono stati messi a punto regolamenti precisi per garantire un utilizzo adeguato e conforme ai “valori” della società cinese. Di recente, lo stesso presidente Xi Jinping si è espresso sulla necessità di garantire uno sviluppo ordinato del settore, paventando i rischi di un avanzamento incontrollato dell’intelligenza artificiale, riecheggiando diversi timori ascoltati anche sul fronte occidentale. Anche per questo sono stati istituiti nuovi organi e autorità di controllo governativi e partitici per dare linee guida centralizzate al settore.