L’Europa, prima al mondo, si è dotata di una carta dei diritti digitali. Garantire la sicurezza delle persone, favorire la democrazia, la libertà di espressione online e l’accesso a internet sono alcuni dei suoi principi. Basterà per una transizione digitale veramente equa? Intervista al DG per le politiche digitali della Commissione UE Roberto Viola
Lo scorso novembre a Bletchley Park, in Inghilterra, si è svolto il summit sull’Intelligenza Artificiale dove hanno partecipato Capi di Stato ed imprenditori dell’high tech. Elon Musk all’apertura dei lavori ha dichiarato: «Ciò a cui miriamo realmente è stabilire un quadro di riferimento in modo che ci sia almeno un arbitro indipendente, che possa osservare cosa stanno facendo le principali aziende di intelligenza artificiale e lanciare allarmi se nasceranno problemi». L’Europa, prima al mondo, si è dotata di una carta dei diritti digitali. Basterà per una transizione digitale veramente equa? La tecnologia come bene comune. All’inizio degli anni Novanta, quando internet iniziava a diffondersi nelle case di tutto il mondo, era entusiasmante immaginare una tecnologia che avrebbe permesso di accedere ad una quantità infinita d’informazioni. All’improvviso, la libreria di casa perdeva di senso perché con un click era possibile accedere alle biblioteche di tutto il mondo. I vinili o le musicassette non avevano più senso perché all’improvviso potevo accedere alla discografia musicale mondiale. Come diceva l’Uomo Ragno, “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” ed a distanza di ventidue anni dall’invenzione del World Wide Web, è giunta l’ora di bilanci. Abbiamo gestito bene questo potere? Roberto Viola, direttore generale per le politiche digitali della Commissione europea, ha affrontato la tematica durante il Festival d’Internazionale a Ferrara. «I problemi sono iniziati quando dei giovani californiani hanno iniziato a privatizzare internet creando dei sistemi chiusi» afferma Viola ripercorrendo la storia del web per capire, dagli errori, come affrontare le sfide future. Una volta che la tecnologia è privata, l’algoritmo alla base di molte piattaforme social, è programmato per generare traffico. Non interessa cosa guardiamo, la discriminante è se un contenuto genera interesse collettivo o meno. È stato possibile così per Brent Tarrant filmarsi in diretta video mentre faceva una strage in Nuova Zelanda o è stato possibile assaltare il Congresso degli Stati Uniti organizzandosi su gruppi Facebook. «Solo a quel punto il mondo si è posto il problema. Da bene comune siamo arrivati ad una deresponsabilizzazione completa. Non sappiamo chi controlla internet. Sappiamo chi ci fa soldi ma il controllo è più complesso. L’Europa non poteva stare a guardare, bisogna dare risposte comuni e democratiche» afferma il commissario europeo.
Le legge a tutela dei minori
La storia di Molly Russell morta a 14 anni nel 2017 ha fatto il giro del mondo portando Meta in tribunale. L’algoritmo di Instagram è finito sotto accusa per aver sottoposto contenuti autolesionisti alla ragazza per molto tempo inducendola al suicidio. «La legge europea parla chiaro, l’età minima per essere sui social network è tredici anni ma sappiamo tutti che anche i bambini utilizzano i social media molto prima. Non possiamo delegare il controllo solo alle famiglie, dobbiamo fare qualcosa anche noi come Europa». Il 25 agosto è entrato in vigore il Digital Service Act che cerca di regolamentare in modo più incisivo le aziende del big tech. «La legge europea vieta qualsiasi tipo di pubblicità mirata rivolta ai bambini. Nessun algoritmo può indurre il bambino a fare qualcosa che non vuole fare». In sostanza la normativa europea cerca di andare in una direzione molto semplice: quello che è illegale off line deve essere illegale anche on line. Così che, se una persona si filma e posta sui social un video mentre percorre una strada contromano, quel contenuto non può diventare virale. «I signori del web sono già miliardari, non hanno bisogno di arricchirsi ulteriormente attraverso fake news o contenuti inappropriati» afferma Viola.
Libertà o controllo?
Nel contesto normativo sul digitale, l’Europa si colloca tra gli Stati Uniti, dove il quarto emendamento protegge i cittadini da ogni forma di controllo che possa limitare la libertà individuale, e la Cina, dove lo stato opera un forte controllo dello strumento tecnologico. «Anche gli Stati Uniti riconoscono di avere un problema altrimenti Biden non avrebbe lanciato una richiesta pubblica sul Wall Street Journal invitando i partiti ad imitare la legislazione europea per la regolamentare internet». Al momento l’appello è rimasto inascoltato. L’Europa si propone di essere da apripista per le altre democrazie, incluso gli Stati Uniti, perché è proprio lì che sono nate le più grandi aziende del digitale. «A luglio ho incontrato Elon Musk che ha riconosciuto come la nostra legge sia la più avanzata al mondo per internet». Nonostante la pubblica ammissione, Musk è un estremo sostenitore della totale libertà che in sintesi significa che sul web ognuno ha il diritto di dire quello che vuole. Per questo motivo, una volta acquisita X (ex Twitter) una delle prime scelte è stata quella di “riabilitare” Donald Trump. Qual è il confine tra libertà di espressione e controllo normativo? «Un medico è un professionista e non può dire stupidaggini ma nella sua sfera privata può dire quello che vuole, anche stupidaggini. Il problema sorge quando la stupidaggine viene amplificata da un algoritmo che ha una popolazione potenziale di miliardi di persone. Essere ignoranti non è un crimine, ma se un algoritmo premia la disinformazione che ad esempio invita a curare da soli certe patologie che magari causano la morte, allora non si parla più di libertà individuale ma di tutelare il bene comune».
La disinformazione che l’algoritmo amplifica può riguardare non solo la sfera personale ma anche quella collettiva. Le elezioni nella maggior parte dei paesi democratici del mondo, sono combattute per una manciata di voti, è successo per il referendum sulla Brexit ed in diverse elezioni americane. Nel 2024 si terranno le elezioni europee e quelle americane. La storia è destinata a ripetersi? Che ruolo giocheranno gli algoritmi, i social network, il web in generale? «Vorrei fare una considerazione. In Italia il 40% delle persone non ha votato. Circa l’85% della popolazione è su internet e sente di dover esprimere un’opinione. Interagiscono sul web ma non vanno a votare. Ancora più inquietante è il dato che il 44% degli astenuti ha meno di 50 anni. Chi ha il futuro davanti non va a votare ma usa le tecnologie. C’è un cortocircuito».
Tecnologie e democrazia
Se il futuro di una democrazia viene deciso da una manciata di voti, sarà sempre più importante che i giovani, il futuro di un Paese, sia sempre più partecipe nella vita democratica di un paese. «Qualche tempo fa un primo ministro mi ha chiamato perché voleva conoscere il mio pensiero sul voto attraverso lo smartphone» racconta Viola. Facciamo qualsiasi cosa con lo smartphone, è stato uno strumento fondamentale durante il covid con il green pass ma per votare abbiamo bisogno ancora di una matita. Per gli studenti fuori sede significa intraprendere costosi viaggi per tornare a casa e mettere una X su una scheda. Sembra anacronistico ma è la realtà. Fino a trent’anni fa il voto degli italiani all’estero non era possibile perché non veniva ritenuto rilevante, adesso invece lo è. «Sono un sostenitore della democrazia diretta. A parte il voto ci sono tante altre questioni che potrebbero essere affrontate. Ad esempio, un sindaco potrebbe sapere in tempo reale cosa i suoi cittadini pensano riguardo un cambio di un senso di marcia di una strada. Questo è uno dei modi in cui internet diventa bene comune».
Anche risolvendo il problema del coinvolgimento dei giovani nella politica, abbiamo visto come le fake news e la disinformazione possano condizionare le opinioni perché i giovani si informano solo attraverso i social media. «Nella nostra società stiamo assistendo alla perdita di importanza degli intermediari culturali. Per pilotare un aereo siamo tutti d’accordo ci voglia il pilota, per curarsi siamo d’accordo che ci voglia un medico ma non siamo d’accordo che un giornalista professionista vincolato da codici professionali, debba raccontarci come stanno le cose». Facebook nel primo semestre del 2023 ha rimosso 40 milioni di fake news nel mondo e ben il 33% di queste, provenivano dall’Italia. Google ha riportato di aver impedito il flusso di oltre trentuno milioni di euro in pubblicità verso account che diffondono disinformazione. A questi dati si aggiunge un ulteriore problema, le competenze digitali dei cittadini europei. Entro il 2030 solo il 59% della popolazione europea avrà adeguate competenze digitali in un mondo che sarà sempre più tecnologico. «In democrazia se un politico dice una stupidaggine la volta dopo non viene votato, questo dovrebbe essere il meccanismo. Rimane il tema dell’algoritmo. Se viene amplificata la stupidaggine e non viene dato spazio alla società civile, abbiamo un problema. La questione non è il singolo politico bensì se gli algoritmi vengono usati in modo improprio come megafono”.
I progetti europei
L’Europa sta diventando un banco di prova per la regolamentazione del digitale costruendo un recinto all’interno del quale muoversi. “Ero già in Europa quando abbiamo portato avanti la battaglia per il roaming europeo. Ora è normale viaggiare in Europa, scendere dall’aereo, accendere il telefono ed usarlo come niente fosse ma è stata una battaglia incredibile contro le compagnie telefoniche. Stiamo cercando di fare la stessa cosa con internet”. Tra le regole che l’Europa introdurrà è previsto anche l’obbligo per Whatsapp di rendere aperto il sistema di messaggistica. “Se un’utente di Whatsapp lo vorrà, avrà la possibilità di dare il consenso di ricevere il messaggio da qualsiasi altra piattaforma, a prescindere da whatsapp. Meta avrà un anno di tempo per adeguarsi”. La tecnologia secondo il commissario Viola darà la possibilità all’Europa di lavorare insieme a progetti comuni come, ad esempio, la Block chain europea che consentirà alle università europee di certificare i titoli di studio di tutti i cittadini. Anche lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrà essere indirizzata dall’Europa verso il bene comune. «Stiamo lavorando per mettere in rete i supercomputer europei come Leonardo che si trova a Bologna. L’obiettivo è quello di mettere a disposizione questa incredibile potenza di calcolo a servizio delle startup che svilupperanno progetti d’intelligenza artificiale etica», conclude Roberto Viola.