Diffondere tematiche di salute pubblica attraverso i social è diventato fondamentale per raggiungere i più giovani
All’inizio di quest’anno Hootsuite e We are Social hanno lanciato il consueto report annuale Digital 2021 sull’uso delle piattaforme di social media in Italia e nel mondo. Ha colpito la poderosa crescita di utenti su TikTok, usato oggi da circa 700 milioni di utenti nel mondo (su poco più di 4 miliardi di utenti che usano almeno una piattaforma di social media), e dal 24% degli utenti Internet italiani compresi nella fascia di età tra i 16 e i 64 anni, corrispondenti a circa 8 milioni di utenti considerando solo la popolazione maggiorenne, con una crescita di circa il 400% rispetto al 2019, (dati Comscore). Tra i più giovani (nella fascia di età 18-24) il fenomeno è ancora più accentuato con quasi la metà (48%) dei giovani che ne ha fatto uso nel corso del 2020, e con il tempo speso sull’app cresciuto del 487%.
Divulgatori scientifici e TikTok
Sono questi numeri che devono avere spinto molti operatori sanitari ad aprire profili professionali per parlare di salute. Adottando un modello di comunicazione che sfrutta la musica, i “trend” e i “Challange”(e, a dir la verità, solo in pochi casi la danza e le coreografie che piacciono tanto al pubblico giovane, vere protagoniste della piattaforma) medici, studenti di medicina, operatori sanitari, divulgatori scientifici forniscono oggi suggerimenti sui disturbi dell’alimentazione, su come contrastare le malattie sessualmente trasmesse, sulla lotta alla sedentarietà, sui rischi da fumo e sugli screening oncologici. I video di 15 secondi da loro prodotti, li trasformano in influencer con un incredibile seguito (molti tra gli italiani hanno diverse centinaia di migliaia di follower e diversi milioni di “Like”).
Accanto a questa pattuglia di pionieri della comunicazione della salute trovano spazio anche istituzioni sanitarie di prestigio. E’ il caso della Croce Rossa Italiana (https://www.tiktok.com/@crocerossa) , che pubblica video in stile “TikTok” per insegnare ai 130.000 giovani follower a prestare il primo soccorso a chi ne ha bisogno.
Il caso dell’OMS
Ma è soprattutto l’OMS il “case study” di maggiore successo. Con quasi 3 milioni di follower e 10 milioni di “like”, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha aperto un profilo istituzionale (https://www.tiktok.com/@who) su TikTok, in continuità con la scelta di aprire canali di comunicazione della salute rivolti ai giovani già sperimentata con il lancio (qualche anno fa) del suo profilo su Instagram (seguito oggi da 10 milioni di utenti).
I temi trattati nei video su TikTok dell’OMS (visti da centinaia di migliaia di utenti) sono vari. Si va dalla promozione della danza e del ballo come metodo per combattere la sedentarietà (particolarmente riuscita è la campagna #BeActive lanciata con il video “Every move counts”), a quella del movimento attraverso le passeggiate quotidiane, fino alla promozione delle sane abitudini e in particolare dell’astinenza da fumo, passando per le tematiche inerenti Sars-Cov2, Covid-19 e i vaccini. Su quest’ultimo aspetto, molti (per l’esattezza 32) riguardano l’importanza di indossare la maschera a fini di prevenzione del contagio.
Ma qual è l’impatto della comunicazione dell’OMS su questi temi mediata da TikTok? Se lo è chiesto un gruppo di ricercatori in un recente articolo pubblicato su JMIR Public Health and Surveillance partendo proprio dai video che promuovono l’uso corretto della maschera per prevenire la diffusione di Sars-Cov2. In sintesi, i ricercatori hanno descritto le caratteristiche di questi video e confrontato il loro impatto (in termini di engagement prodotto) rispetto ai primi 100 trending video su TikTok che contenevano l’hashtag #WearAMask (una campagna di sensibilizzazione lanciata su TikTok).
Ciascuno dei 132 video è stato classificato in base a parametri specifici dell’OMS e dei Centers for Disease and Prevention di Atlanta e per ciascuno di questi video sono stati raccolti i dati quantitativi generati dalla piattaforma e relativi al loro engagement. Il risultato principale dello studio è la documentazione dell’enorme visibilità di tutti i video, sia quelli frutto della campagna di sensibilizzazione #WearAMask (visti circa 500 milioni di volte, con una media di 5 milioni per video), sia quelli prodotti dall’OMS (visti circa 57 milioni di volte, con una media di 1,7 milioni per video), ben più alta rispetto alle visualizzazioni ottenute mediamente da video postati su altre piattaforme di social media.
Diversa è invece la tipologia di comunicazione adottata: mentre i 100 video della campagna #WearAMask fanno maggiore uso della danza e del ballo (27% vs 0%) e di una comunicazione umoristica (68% vs 9%), quelli dell’OMS fanno più uso di musica (69% vs 58%) e più frequentemente riprendono persone che indossano la maschera (84% vs 59%), senza però registrare un maggiore coinvolgimento del pubblico (il numero medio di visualizzazioni per il primo tipo di video è di 500.000, mentre per il secondo tipo è di 2 milioni). Il numero di visualizzazioni non premia nemmeno i pochi video con una componente umoristica diffusi dall’OMS (visti mediamente da 150.000 utenti, rispetto ai circa 5 milioni di utenti che mediamente hanno visto questo tipo di video diffusi da utenti privati nell’ambito della campagna #WearAMask – accompagnati peraltro da un numero elevato di like e di commenti).
Nel sottolineare le potenzialità di TikTok nella diffusione di tematiche di salute pubblica, gli autori si chiedono se non sia necessario trovare una modalità di comunicazione meno formale e ingessata perché le istituzioni possano raggiungere i giovani in maniera più efficace, per esempio adattando il messaggio al mezzo (i video di 15 secondi sono una vera sfida).
Veicolare i messaggi di salute pubblica tramite i social
D’altra parte, come ricorda un altro recente articolo di JAMA, le potenzialità delle piattaforme di social media (tutte, non solo TikTok) sono enormi nel veicolare messaggi di sanità pubblica, promuovere sani stili di vita, combattere la disinformazione, personalizzare i messaggi di salute pubblica in base alla profilazione degli utenti, conoscere le informazioni sulla loro mobilità grazie ai dati geo-referenziali associati ai post, studiare ansia, depressione e altri condizioni di salute mentale analizzando le conversazioni.
Per fare ciò, concludono gli autori di quest’ultimo articolo, sarebbe sufficiente che le organizzazioni sanitarie e le istituzioni imparassero da altre campagne di sensibilizzazione organizzate sui social media (#BlackLivesMatter. #MeToo, lotta ai cambiamenti climatici, ecc) per lanciarne di simili nel campo della salute pubblica.