Maurizio Corbetta e Marcello Massimini hanno appena ricevuto un ERC Synergy Grant, un finanziamento della durata di sei anni. Il loro compito sarà quello di capire cosa impedisce a un cervello con una lesione di ristabilire al meglio le sue funzioni
Quattro gruppi di ricerca coinvolti, sei anni di tempo per terminare il progetto e 10 milioni di euro da spartire. Si tratta del finanziamento ERC Synergy Grant che ha premiato il progetto NEMESIS. Il progetto coinvolge i ricercatori spagnoli dell’Università Pompeu Fabra e dell’ICREA e delle Università di Padova e Milano.
NEMESIS, dal greco, significa “dare ciò che è dovuto”. Il progetto mira a restituire parte della funzionalità perduta ai neuroni cerebrali, in seguito a un trauma o una lesione. L’ictus cerebrale è la seconda causa di morte nell’Unione Europea e la prima causa di disabilità. Il 60% dei milioni di casi all’anno ha un qualche tipo di effetto invalidante. Oltre ai sintomi clinici, come paralisi totale o perdita di memoria, l’ictus può portare afasia, cioè incapacità di parlare, affaticamento e diminuzione dell’attenzione.
Sembra che il mancato recupero di certe funzioni sia legato al fatto che certe aree cerebrali rimangano in uno stato addormentato in seguito a un trauma.
Progetto Nemesis: chi sono i ricercatori italiani
Andiamo a conoscere meglio i protagonisti italiani coinvolti nel progetto. Il gruppo di Maurizio Corbetta, docente di Neurologia all’Università di Padova e direttore della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedaliera, coordinerà NEMESIS. Si occupa prevalentemente di neuroimaging, cioè di fotografare lo stato anatomico-funzionale del cervello. Il team di Marcello Massimini, professore di Fisiologia Umana all’Università degli Studi di Milano, sarà invece responsabile della caratterizzazione dell’elettrofisiologia umana in seguito a un trauma, cioè dell’analisi dell’attività elettrica cerebrale.
Il sonno e il trauma
Il progetto Nemesis nasce da lunghi anni di amicizia e collaborazione. Ma scaturisce anche da numerosi anni di esperienza, durante i quali ciascun gruppo partecipante si è specializzato in determinate competenze.
Massimini è partito dai pazienti che riemergono dal coma dopo lesioni severe e che riguardano più punti del cervello. “Mi interessava misurare il recupero di coscienza, cioè segnali cerebrali in pazienti non responsivi. Per poterlo fare abbiamo dovuto sviluppare diverse strategie di misurazione”. Combinando la stimolazione magnetica transcranica all’elettroencefalografia, il gruppo ha stimolato precise aree cerebrali e ne ha misurato la risposta in termini di segnale elettrico. Il risultato è stato sorprendente: “ci siamo accorti che le aree apparentemente integre rispondevano in un modo molto simile a un cervello che dorme”.
È una coincidenza dato che gli esordi di Massimini come ricercatore, lo vedono impegnato negli studi sul sonno. “Da bambino ho sempre avuto una passione particolare per la coscienza e il sonno. Mi incuriosiva il mistero della coscienza, che può sparire e ricomparire quando un soggetto si addormenta e si risveglia”. Dopo la laurea in medicina, l’interesse per il sonno e per le onde elettriche lente che genera nel cervello si è spostata anche su eventi patologici. Sono quei casi in cui la coscienza viene persa, per esempio, in seguito a lesioni cerebrali.
“Abbiamo iniziato a pensare che l’incapacità di recupero della coscienza fosse legata all’intrusione del sonno all’interno di un cervello che, in realtà, dovrebbe essere sveglio”.
Il trauma e il network
Il secondo tassello del progetto proviene dalla ricerca condotta per 30 anni da Maurizio Corbetta negli Stati Uniti. “Sono neurologo e mi sono sempre occupato dell’organizzazione cerebrale in relazione alle funzioni cognitive in persone normali”. Sono stato uno dei primi a usare tecniche di neuroimmagine per studiare le funzioni cognitive. Alla fine degli anni ’80 St. Louis, dove abitavo e lavoravo, era considerata la capitale del neuroimaging”. Corbetta ha indagato quali aree del cervello si attivano per svolgere certi compiti. Ha cercato di comprendere come erano organizzate in base alle funzioni e come correlavano con la performance comportamentale.
Sembrava tutto spiegato: il cervello è organizzato in tante aree, ciascuna delle quali svolge una certa funzione. Poi, però, arriva in clinica un paziente che a tre mesi da un ictus aveva recuperato appieno la propria afasia e parlava perfettamente, malgrado la lesione all’area dedicata al linguaggio. “Abbiamo visto che il paziente aveva attivato aree diverse: il suo cervello si era riorganizzato”. Da lì cominciano i suoi studi sulla riorganizzazione del cervello in seguito alle lesioni. “Studiando abbiamo capito che il cervello lavora tutto insieme, come un’orchestra. Non si può più parlare solo di aree specializzate, ma di network“.
Infine, dal 2015 Corbetta comincia a studiare i pazienti con un ictus, e la loro riorganizzazione del cervello. “Abbiamo concluso che i deficit non sono mai isolati. Ci sono cluster di deficit che correlano tra loro. Si dividono in due grandi gruppi: uno è quello legato alla parola e alla memoria, l’altro è legato al movimento e all’attenzione”. Quando una parte del cervello è lesa smette di comunicare. La parte lesa comunica in modo selettivo e diventa integrata in modo anomalo. Così ci sono dei veri e propri circuiti di funzioni che si interrompono.
Ed è qui che le ricerche di Corbetta e Massimini si incontrano. “Noi vediamo aree disconnesse con la risonanza magnetica funzionale, che misura il metabolismo cellulare cioè l’attività cellulare. Massimini nelle stesse aree rileva onde lente del sonno”, spiega Corbetta. Una lesione ha effetti a distanza, perché coinvolge un circuito che funziona a onde lente.
Un cervello addormentato non funziona
Quando il cervello subisce una lesione, alcune parti anche non danneggiate si addormentano. Ciò avviene in un’area pari circa a due centimetri intorno alla lesione. Tuttavia, proseguendo con gli studi è emerso che anche aree lontane connesse alle aree addormentate, ricevono onde molto lente e poco efficaci a trasferire informazioni che propagano lontano. Ciò interferisce anche con la normale attività delle aree risparmiate dalla lesione.
“Potrebbe essere che inizialmente il tessuto in sofferenza entri in uno stato protettivo di bassa attività”, spiega Massimini. “Il fatto è che se il cervello non esce da questo stato, non riesce più a funzionare né dal punto di vista cognitivo né funzionale”.
La sfida contro il sonno
Dal sonno ci risvegliamo ogni mattina. Forti di questa certezza i ricercatori del progetto NEMESIS vogliono risvegliare le aree del cervello addormentate dei pazienti che hanno subito un trauma. L’idea di fondo è che le aree del cervello addormentate non partecipano alla riabilitazione.”Conosciamo i meccanismi cellulari che sono alla base di queste onde lente grazie a 20 anni di ricerca. Quindi pensiamo di poter modulare le onde lente, anche grazie alle competenze della nostra partner di Mavi Sanchez-Vivez“, aggiunge Massimini. Lo stesso fenomeno di produzione di onde lente è infatti visibile in fettine di cervello mantenute in vitro da Mavi Sanchez-Vivez.
L’introduzione di questa terapia basata sulla stimolazione di alcune aree del cervello potrebbe migliorare i deficit neurologici dei pazienti colpiti da ictus. La modulazione delle onde lente può avvenire con una tecnica non invasiva di stimolazione elettro-magnetica. “È una tecnica già applicata al trattamento dell’ictus. Tuttavia, negli ultimi 10 anni ha fallito perché la stimolazione è stata usata senza avere una mappa precisa delle disfunzioni e un meccanismo preciso da trattare”, spiega Corbetta.
“Ora la scommessa consiste nell’applicare queste tecniche sapendo come e dove stimolare”.
Oggi è possibile conoscere le aree disturbate dal sonno e provare a modularle grazie ai modelli al computer creati da Gustavo Deco, il fisico quarto partner del progetto. È possibile creare modelli di connessioni personalizzate, a partire dai dati presi direttamente dal paziente e inserire un’attività cerebrale che simuli quella del cervello. In seguito, si tratta di cercare di migliorare o risolvere il segnale anomalo che è possibile misurare. Il calcolatore dovrebbe aiutare a predire come e quando stimolare e in quanti punti.
Il sonno e le altre patologie
Numerose prove scientifiche hanno rivelato che la maggior parte dei disturbi neurologici e psichiatrici riflettono non solo un danno puntuale in una certa area del cervello, ma anche anomalie nelle reti che connettono diverse aree del cervello. Le patologie di circuito si manifestano anche nell’epilessia, nelle demenze, nelle malattie psichiatriche e in quelle dello sviluppo. “In queste patologie c’è una causa strutturale esacerbata da un’attività anormale”, spiega Corbetta.
Il sogno è quindi quello di creare una strategia applicabile ad altre patologie, che possa entrare nella pratica clinica. “Oggi si pensa che grazie a una stimolazione adeguata e alla plasticità intrinseca, il cervello riesca a ritrovare un bilanciamento in modo naturale”, aggiunge Corbetta. “È una grossa scommessa e non sappiamo se arriveremo sulla Luna. Però intanto impareremo molte cose”.
Il grant ERC della durata di sei anni è quasi un sogno perché offre un tempo congruo a sviluppare un progetto in tutte le sue parti. Ma c’è anche qualcosa che va oltre i risultati della ricerca, per quanto essi possano essere incredibilmente utili a trattare molte persone che hanno deficit comuni nonostante la variabilità delle lesioni.
La ricerca, oltre ai risultati, deve anche portare a un’eredità. “Collaboro con una squadra di persone che lavorano con me da parecchi anni e che si è stabilizzata. Il mio sogno sarebbe creare una scuola. Ci sono tanti scienziati che fanno cose straordinarie ma poi quando si ritirano finisce tutto. La sfida vera è creare una storia per far sì che altri proseguano dopo di noi. È un passaggio da pianificare e questo grant è una possibilità per farlo”, conclude Massimini.
Nella foto in alto, da sinistra: Corbetta, Deco, Massimini, Sanchez – Vives