149 tortore spaziali sono state spedite in orbita dalla California per vedere come si comportano mari, laghi e fiumi, ma anche per intercettare discariche abusive e molto altro
I satelliti artificiali sono parte della nostra vita: i GPS ci indicano la strada e gestiscono i mercati finanziari (grazie alla temporizzazione ultraprecisa di tutte le transazioni), i satelliti metereologici ci dicono se e quanto pioverà, i satelliti per telecomunicazioni ci collegano a tutto il mondo mentre i satelliti per l’osservazione della Terra (militari e non) tengono tutto sotto controllo.
La nostra civiltà è spazio-dipendente e questa dipendenza è destinata a crescere
Satelliti per controllare tutto
Nel mio ultimo post, vi ho raccontato la rivoluzione che verrà con il WiFi planetario, oggi parliamo di una rivoluzione che è già in corso sopra le nostre teste e che sta cambiando il modo di studiare la Terra dall’orbita.
Chi deve sorvegliare il territorio, per controllare i movimenti di cose e persone, lo stato dei laghi e dei fiumi, il livello di maturazione delle coltivazioni, l’inquinamento delle coste, lo scioglimento dei ghiacciai, solo per citare qualche esempio, vuole immagini ad alta risoluzione in molti colori ma, soprattutto, le vuole ripetute nel tempo con intervalli quanto più piccoli possibili tra un’immagine e la successiva. Solo così ci si può rendere conto dei cambiamenti in atto sul breve termine.
Il tasso di rivisitazione di una data zona del globo dipende ovviamente dal numero di satelliti in orbita. Un satellite singolo fa quello che può. Prendiamo il caso di Landsat e Sentinel-2 (il primo americano ed il secondo europeo) due programmi ben noti che offrono immagini con risoluzione di 30 e 10 m e un intervallo di rivisitazione di 16 e 10 giorni, rispettivamente.
Per fare meglio bisognerebbe disporre di una costellazione di satelliti che hanno lo svantaggio di essere macchine complesse del peso di diverse tonnellate e molto costose.
Space doves: Low cost, high risk
Per risolvere il problema con budget ragionevoli bisogna cambiare totalmente strategia. Abbandonare l’idea di avere grandi satelliti per abbracciare la filosofia dei Cubesat, piccoli satelliti (sono cubi di 10 cm di lato del peso di circa 1 kg) basati su componenti commerciali (non quelli space qualified molto più costosi) che possono essere costruiti in poco tempo e lanciati a grappoli con spesa modesta.
Nati all’inizio del 2000, sono stati considerati un buon esercizio per gli studenti fino a quando qualcuno non ha pensato di utilizzarli in “formazione” per sommare le loro capacità e trasformarli in uno strumento competitivo proprio per l’osservazione della Terra.
La Planet Labs di San Francisco ha calcolato che, per coprire l’intera superficie della Terra tutti i giorni, con risoluzione di circa 3-5 m, aveva bisogno di 144 satelliti e si è messa al lavoro a costruire le sue Doves (tortore). Si tratta di Cubesat un po’ cresciuti: ogni tortora equivale a tre cubi e l’insieme delle tortore forma uno stormo (Flock).
Hanno iniziato nel 2014 con il Flock 1 di 28 tortore, poi è venuto il secondo storno con 58 satellitini (lanciati in 4 riprese) ed il 14 febbraio scorso è arrivato il terzo con un lancio record di 88 tortore con il lanciatore indiano PSLV.
Di quanti microsatelliti abbiamo bisogno per monitorare la Terra?
Il Fondatore di Planet Labs, Will Marshall, aveva presentato il progetto al TED nel 2014. Adesso in totale ci sono 149 tortore funzionanti in orbita e il sistema diventerà operativo tra 3 mesi, circa. Se fate due conti, vi accorgerete subito che non tutte le tortore hanno mantenuto le loro promesse: la filosofia low cost implica rischi considerevoli.
Inoltre i CubeSat non possono durare a lungo: l’attrito con quel poco di atmosfera che incontrano li farà abbassare di quota e li distruggerà nell’arco di qualche anno. Giusto in tempo per permettere il lancio della prossima serie, sempre low cost, e magari ancora più piccola per poter avere sempre più satelliti all’interno dello stesso budget di massa.
Comunque lo stormo delle tortore di Planet Labs è quasi pronto alla sfida: fornire ogni giorno un’immagine del pianeta con risoluzione sufficiente a studiare moltissimi problematiche. Se volete godervi dei panorami veramente mozzafiato visitate la gallery delle immagini del loro sito.
Ovviamente si tratta di una avventura for profit e le immagine vengono vendute. Tuttavia la compagnia è lungimirante e, attraverso il programma Planet’s Ambassador, fornisce gratuitamente i dati agli scienziati che ne facciano richiesta (e che promettano di non rivenderli).
La coda degli aspiranti Ambassador è lunga, tanto quanto le problematiche che si possono studiare con le immagini delle tortore spaziali. In Italia si potrebbero studiare le discariche abusive, tanto per cominciare.