Un gruppo di ricercatori americani ha scoperto che hackerando i telefonini ogni smartphone può diventare un sensore antisismico.
Gli scienziati sanno che una precoce allerta può salvare molte vite in caso di terremoti e tsunami. Purtroppo non tutti i paesi sono attrezzati a fornirla con adeguati sistemi di prevenzione a causa del loro costo elevato. Eppure nelle nostre tasche portiamo una tecnologia che potrebbe farlo: i telefoni GPS. I nostri smartphone sono infatti tanto sensibili da registrare movimenti orizzontali e verticali della grandezza di un centimetro, esattamente il tipo di movimento che innesca i sistemi di allarme più sofisticati in caso di terremoto.
L’idea di un gruppo di ricercatori californiani è che se nelle aree a rischio di terremoto ci fosse una app capace di individuare quel tipo di movimenti su un numero sufficientemente grande di telefoni in grado di indicare contemporaneamente l’inizio delle scosse tanto da escludere subito i falsi positivi, potrebbero automaticamente inviare un avviso di sicurezza a tutti per indurre le persone a mettersi al sicuro. E salvare molte vite umane.
Per capire la bontà della loro idea i ricercatori hanno voluto testare la capacità del telefono Google Nexus 5 di individuare un terremoto simulato di magnitudo 7 e uno di scala 9 effettivamente avvenuto, e hanno dimostrato che quei telefoni reagiscono efficacemente già alle scosse iniziali di quello di magnitudo inferiore. In aggiunta hanno riscontrato che questo approccio è perfino in grado di individuare l’epicentro dell’evento sismico a partire dalla grandezza del movimento della superficie della terra, quello veramente pericoloso che segue le onde sussultorie.
La conclusione a cui sono giunti è che se abbastanza persone lo usano, ecco pronto un sistema di allerta terremoti collettivo, economico e già pronto, basato sul crowdsourcing.
Basterebbe aggiornare il software
Sarah Minson, ricercatrice in geofisica presso il Servizio Geologico Californiano a Menlo Park e autrice con altri dello studio che presenta questa affascinante ipotesi, ha pubblicato la sua ricerca su Science. Secondo la studiosa il sistema potrebbe fare veramente la differenza sopratutto inquelle aree del mondo come i Caraibi, l’America latina e il sud-est asiatico dove non esistono sistemi di alert sofisticati perchè povere o poco densamente abitate ma dove la diffusione degli smartphone presso la popolazione è in continua crescita.
Tuttavia, per poter convalidare la loro ipotesi i ricercatori dovrebbero poter accedere ai dati GPS grezzi dei telefonini che però non sono accessibili. Lo stesso software che consente di individuare l’esatta posizione dell’utente di un telefono GPS maschera i segnali di un terremoto, considerandoli equivalenti alla guida su una strada piena di buche o ad una corsa campestre. Perciò per creare un primo sistema di allerta si dovrebbero aggiornare firmware e software dei telefonini. Oppure hackerarli. Questa opzione, dicono i ricercatori, sarà studiata in Cile dove, in attesa che l’industria si attivi, hanno intenzione di hackerare 250 smartphone per analizzare i dati grezzi di cui abbisognano.
Il progetto già si presenta come un metodo win-win per tre motivi: a) L’accesso ai dati grezzi permetterebbe di capire come filtrare tutti i dati rilevati dai sensori interni al telefonino, eliminare i falsi postivi e sperimentare il progetto su una scala adeguata; b) I costi non devono essere sostenuti da nessuna entità centralizzata (municipalità o governi) visto che sono in capo ai proprietari dei telefonini che non hanno bisogno di cambiare l’hardware; c) poichè la procedura richiede l’aggiornamento del software d’accordo con le case produttrici, questa prospettiva potrebbe aprire anche nuove opportunità commerciali.