Una soluzione innovativa per garantire la sanificazione dell’aria. Pensata per gli ambienti, ma che ben si adatta anche ai filtri personali. Così il made in Italy, con tecnologia e design, conquista il Circus
Il primo appuntamento del mondiale di Formula 1, sul circuito austriaco di Zeltweg, non poteva certo far eccezione: prima e dopo la gara i piloti giravano per il paddock con stilose mascherine sul volto. E in un paio di casi i più attenti avranno notato che non erano maschere qualsiasi, bensì le italianissime U-Mask: brand ormai divenuto internazionale e apprezzato dalle celebrity di tutto il mondo, creato dalla startup U-Earth di Betta Maggio il cui core-business è creare zone di aria purificata grazie a cilindri che contengono un bioreattore in grado di eliminare gli agenti inquinanti presenti nell’aria. Tecnologia che è stata anche adattata a dei filtri da indossare, e che in seguito all’emergenza Covid19 è diventata assolutamente centrale.
Fonte immagine: Ferrari
Un sistema totalmente green molto apprezzato da tanti vip, come le sorelle Ferragni e lo chef Andrea Berton, che si sono fatti fotografare indossando le U-Mask fin dai primi giorni dopo il lockdown. Per altro, fanno sapere da U-Earth, i profitti provenienti dalla vendita delle mascherine saranno donati agli ospedali lombardi – tra i più colpiti dalla crisi – con la ferma volontà di non voler lucrare sull’emergenza e sulle necessità dei cittadini, ma anzi di voler dare una mano alla collettività. E ora anche i piloti di F1 di molte squadre indosseranno le U-Mask: ma qual è il segreto delle mascherine mangia i batteri?
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Il rivoluzionario principio guida di U Earth
Attirare i batteri per carica elettrica molecolare e poi distruggerli: è questo il tanto semplice quanto rivoluzionario principio guida di U-Earth, che ha costruito dei veri e propri bioreattori che sono capaci di catturare anche particelle talmente fini da sfuggire ai meccanismi tradizionali di filtraggio. Gli agenti contaminanti così catturati vengono poi processati sempre all’interno della macchina, dove una biomassa per così dire li “digerisce” e li trasforma in scarti assolutamente non nocivi. L’aria così filtrata viene poi rimessa in circolo nell’ambiente in cui il dispositivo è installato, e risultati apprezzabili possono essere ottenuti anche outdoor: a seconda della dimensione del bioreattore, un dispositivo U-Earth riesce a generare l’equivalente di aria pulita di un bosco da centinaia o persino migliaia di alberi. La manutenzione è ridotta al minimo (ha bisogno di acqua e di una ricarica al mese per funzionare), così come i costi di esercizio sono esigui (un bioreattore mediamente consuma come una lampadina da 24W).
La startup, nata in Italia e poi trasferitasi a Londra, è stata avviata da Betta Maggio a partire da un’idea di famiglia: “Mio zio, uno scienziato americano esperto di biotech che ha studiato per anni le biotecnologie, da allergico cronico, si è inventato questo sistema che poteva pulire l’aria dagli inquinanti, dandoli letteralmente in pasto a dei batteri. Il principio è molto semplice ed era stato pensato proprio per l’ipotesi di dover fronteggiare una situazione come una guerra chimica batteriologica, ma per renderlo commercializzabile ci sono voluti otto anni di test e sperimentazioni”. L’idea girava in famiglia già da qualche tempo quindi: la spinta definitiva a concretizzarla Betta Maggio l’ha ricevuta da alcune questioni familiari, legate appunto a infezioni contratte in ambienti ospedalieri.
Zone di aria pura certificata
L’idea dietro ai prodotti U-Earth è quella di creare delle zone di aria pura certificata attraverso cilindri di dimensioni contenute, che al loro interno contengono un bioreattore in grado di neutralizzare la maggior parte degli agenti inquinanti presenti nell’atmosfera. “Molte delle particelle che vogliamo neutralizzare sono troppo piccole per rispondere a ventilazione o gravità per il 92% della loro composizione: questo significa che non possono essere catturate perché non si appoggiano sulle superfici. Sono caricate elettricamente però, quindi rispondono ai campi elettrostatici del nostro bioreattore che, in una maniera molto naturale, crea una messa a terra di queste particelle. Una volta dentro il bioreattore i contaminanti vengono sopraffatti, e digeriti, dal consorzio di microrganismi all’interno della macchina: una comunità microbica stabile che non fa altro che ingerirli”.
Si tratta di un sistema totalmente green e sicuro: perché non si ha, come ad esempio nel caso della sanificazione, l’uso massiccio di disinfettanti. Nel caso delle mascherine, si sfrutta un principio analogo: nel filtro è contenuto uno strato bio-attivo che digerisce, proprio come nei bioreattori, gli eventuali agenti patogeni che vengono intercettati. La mascherina U-Mask può quindi essere usata per molto più tempo di una mascherina normale, almeno 200 ore prima di dover sostituire il filtro, perché l’azione attiva del bio-filtro stesso fa sì che non ci siano pericolosi accumuli come invece può accadere con i filtri tradizionali. In pratica, avendone cura, si può indossare la stessa maschera con lo stesso filtro per un’intera settimana: una soluzione decisamente più semplice da gestire (e meno inquinante) rispetto a quelle usa-e-getta, e con una capacità filtrante che stando alle dichiarazioni di U-Earth è assimilabile a un prodotto FFP3.
Le mascherine scelte dai piloti di F1
Tecnologia e quel tocco di design italiano che non guasta mai: sarà per queste qualità che anche i piloti e i meccanici di almeno un paio di squadre (avvistate le mascherine ai box Ferrari e McLaren nel primo weekend di gara in Austria) hanno deciso di indossare le mascherine U-Mask. Sul Web circolano le foto di Charles Leclerc con la sua U-Mask rosso Ferrari, che ha indossato anche sul podio per festeggiare l’inatteso secondo posto, o il compagno di squadra Sebastian Vettel che fin dal venerdì nel sopralluogo del circuito la portava insieme ai suoi ingegneri. Il futuro ferrarista Carlos Sainz non se l’è tolta neppure durante la conferenza stampa prima della gara e sul podio accanto a Leclerc, con la U-Mask arancione come il colore della sua McLaren, c’era Lando Norris: per una fotografia storica visto che quello ottenuto in Austria è stato il suo primo podio in carriera.
Fonte immagine: McLaren
McLaren è andata addirittura oltre: le U-Mask sono ora in vendita anche sullo store ufficiale del marchio britannico dell’automobilismo, del tutto identiche a quelle indossate dal team in pista, e in questo caso i profitti andranno all’iniziativa contro il razzismo istituita dalla F1 #WeRaceAsOne. Nel corso del prossimo weekend però saranno moltissime le squadre a sfoggiare le mascherine italiane: nel box RedBull, Williams, Renault e Racing Point faranno senz’altro capolino, ma non meravigliatevi se le vedrete anche altrove. Un successo assolutamente meritato per la squadra U-Earth: la tecnologia che hanno sviluppato ha convinto pure lo sport professionistico col più alto tasso di tecnologia applicata che c’è in circolazione.
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