L’affermazione “la tecnologia migliora il futuro” è molto interessante. Ogni sua parola è, infatti, un rompicapo. In questo articolo in tre puntate si motiva il senso di questa frase problematica.
L’affermazione “la tecnologia migliora il futuro” è molto interessante. Ogni sua parola è, infatti, un rompicapo.
Ci potremmo chiedere cos’è la tecnologia. Se è qualche cosa di diverso o distinto dall’essere umano, di situabile in un certo contesto o entro un qualche confine.
Ci potremmo domandare cosa possa voler dire che la tecnologia “migliora il futuro”. Migliora. Da quale punto di vista? Chi decide? Con quale obiettivo? E, ancora: c’è un singolo obiettivo, o piuttosto una miriade di obiettivi diversi?
E poi il futuro. Cos’è? È qualcosa che avviene? Che si crea? Che si costruisce? Chi lo costruisce? È singolo, plurale, alternativo, omogeneo, disomogeneo? O cosa.
Questi sono, ovviamente, solo alcuni dei dubbi e delle domande che potremmo iniziare a porci.
Qualcuno (magari esperto di filosofia, di linguistica o di psicologia) potrebbe farci notare che siamo partiti con un problema: la nostra affermazione contiene già le risposte desiderate.
Che fare? Mettiamo ordine e isoliamo i singoli elementi della nostra frase.
[1] “La Tecnologia”
La tecnologia è uno strano oggetto che attraverso i secoli ha assunto diversi significati ed intendimenti. Il XX secolo segna la nascita della filosofia della tecnologia, con Heidegger e la sua “Questione della Tecnica”: lo sviluppo tecnologico si fa non solo più rapido di quello avvenuto nel resto della storia umana, ma è di tipo differente, come differente è la natura della tecnologia che ne risulta. Questo è anche il primo momento in cui la tecnologia viene descritta non solo come strumento per raggiungere uno scopo, ma anche come mezzo per conoscere, per scoprire la natura nascosta delle cose.
Heidegger espone la tecnologia come un modo particolare di affrontare la realtà, dominandola e controllandola, in cui il reale appare come materia grezza, da manipolare.
È questo il momento in cui la tecnologia viene riconosciuta come elemento ubiquo e pervasivo della vita umana e delle società, tanto che Enrst Kapp, con il suo “Fondamenti di Filosofia dell’Ingegneria” inizia a studiare gli effetti dell’uso della tecnologia nella società, vista come possibile estensione e miglioramento del corpo umano e dei suoi organi. Henri Bergson arriva all’idea dell’organismo esteso in maniera globale (citato frequentemente da McLuhan). La Teoria Cibernetica (Wiener, von Neumann, von Foerster, Bateson, Berg, Maturana, Varela, Latour, Schöeffer, Ascott e tanti altri) con il suo approccio transdisciplinare, ci ha inoltre insegnato come la tecnologia e l’essere umano non siano sistemi indipendenti, ma sistemi cibernetici caratterizzati da cicli di feedback mutuali: l’essere umano determina la tecnologia, proprio come la tecnologia determina l’essere umano.
Tutto tende alla nostra visione contemporanea della tecnologia, in cui essa diventa un fenomeno, un processo non separabile dal resto della natura: modifichiamo geni; creiamo materiali; connettiamo neuroni (sia tramite strumentazioni, sia tramite comunicazione); sintetizziamo organismi; creiamo software che pensano; descriviamo ecosistemi in cui il passaggio dal digitale al fisico e viceversa non ha soluzione di continuità, tramite l’informazione.
Questo è il momento storico in cui tutte le scienze (e, di conseguenza, tutte le tecnologie) diventano tendenzialmente scienze dell’informazione, “schiacciando” su di essa la nostra percezione del mondo. Non abbiamo più grandi problemi ad immaginare esseri umani aumentati tecnologicamente. Direttamente, attraverso protesi, organi digitali e modifiche genetiche. O indirettamente, tramite dispositivi ed applicazioni che, ormai, fanno parte di noi e della nostra percezione della normalità, della naturalezza.
Fino a pochi anni fa, visitando una città in cui non eravamo mai stati prima, non ne conoscevamo praticamente nulla. Oggi l’avremmo già vista migliaia di volte, su Google Maps, su Street View, su Instagram; sapremo moltissime cose, dall’ubicazione del nostro Bed and Breakfast, a cosa ne pensano i recensori di Trip Advisor di quel ristorantino vegetariano che abbiamo trovato sui social network.
Sono, con gli occhi di qualche anno fa, dei veri e propri super-poteri (addirittura la telepatia, uno strano modo di descrivere quel che ci succede sui social network ora che possiamo conoscere abbastanza sistematicamente quel che stanno pensando o provando gli altri).
Salvatore Iaconesi e Oriana Persico [1/3] – continua