Le strade deserte, le famiglie murate nelle case, ogni tanto una canzone gridata tra i palazzi. Eppure non c’è solitudine, anzi: nel forzato isolamento collettivo, questa incredibile emergenza sanitaria sta costruendo reti sociali, nelle famiglie sta infittendo le vicinanze, nelle comunità sta moltiplicando i contatti. “Ma nelle case di chi è solo davvero, sta portando angoscia e la sensazione di essere perduti”, dice Marta Moretto, 21 anni tra poco, studentessa alla Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione all’Università di Padova, una passione per il nuoto ora accantonata per l’obiettivo delle laurea. “È parecchio dura avere ottant’anni nei giorni del Covid-19, e vivere soli perché non si ha famiglia, essere fragili, magari anche malati”.
Prendersi cura degli anziani facendoli stare a casa loro
Marta conosce bene quella condizione perché entra spesso, come volontaria, nelle case di anziani che benedicono i ragazzi come lei. Marta fa parte di Anziani a casa propria, dall’utopia alla realtà, un ente del terzo settore con base nel padovano che da anni porta avanti, con coraggio e pur tra mille avversità, un progetto molto speciale, un nuovo modo di prendersi cura degli anziani, a casa propria, appunto, evitando il ricovero in strutture residenziali. “Noi lavoriamo perché queste persone non vengano sradicate dalla propria casa, dalla propria rete di relazioni e affetti per finire in strutture residenziali, che sono spesso molto costose, anche sul piano umano e sociale”, afferma Giusy Di Gioia, 76 anni, combattiva fondatrice e Presidente dell’associazione. “Per anni ho lavorato all’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Padova e quando chiedevo alle persone che venivano a chiedere l’integrazione della retta per ricoverarsi in queste strutture se fossero decise a farlo, vedevo scendere le lacrime. Ecco, noi vogliamo capovolgere il modo di prenderci cura degli anziani e lo facciamo attraverso la formula degli affidi: la nostra iniziativa prevede una persona affidataria, Marta, per esempio, e un affidato, l’anziano solo, che stabiliscono di vedersi con gradazioni di impegno diverse, da un minimo di tre ore a settimana – formula che noi chiamiamo “Affido semplice” – fino alla vera e propria convivenza”.
Un virus che isola tutti e soprattutto gli anziani
Marta, che è molto occupata con l’università, ha scelto l’affido semplice: prima ha seguito Linda, 85 anni, appassionata di giardinaggio che lei accompagnava spesso dal fiorista, insieme alla sua cagnolina, Perla; oggi segue Anna, 69 anni, da venti colpita dalla depressione. “Il Coronavirus ha complicato moltissimo la vita degli anziani, li ha molto isolati”, spiega la dottoressa Di Gioia. “Per non dire dell’angoscia di sapere che questo tremendo virus colpisce in gran parte proprio le persone avanti negli anni: i giornali mettono sempre in risalto l’età avanzata delle vittime e questo rende gli anziani ancora più vulnerabili. Per il momento l’epidemia è stata affrontata come un problema esclusivamente sanitario, perché è un enorme problema sanitario, ma non dobbiamo dimenticare che in molte case ci sono persone sole che si stanno angosciando o deprimendo. Fino all’ultimo, fino a quando non è stata vietata la mobilità sul territorio, i nostri volontari hanno raggiunto gli anziani a casa e l’associazione ha chiesto che fossero rispettate le misure anti-contagio, vedi le distanze di sicurezza e l’uso delle mascherine. Ora, con queste restrizioni – assolutamente legittime – tutto si è complicato. Ma il programma degli affidi non può fermarsi”. E del resto, l’emergenza Covid-19 sta mettendo a rischio l’assistenza per anziani, bambini, disabili di solito assicurata da 350mila operatori di cooperative sociali e di servizio, ha appena denunciato UeCoop, l’Unione Europea delle Cooperative.
“In questo momento gli anziani si sentono vittime e vanno protetti in modo speciale”, ha detto lo psicologo Antonio Zuliani al Corriere della Sera. Così Marta Moretto, non potendo più raggiungere fisicamente la sua affidata per via delle restrizioni, raggiunge Anna via cellulare il giovedì – il giorno stabilito per l’incontro – e con le voci ricreano quel modo di stare insieme che è fatto di fidarsi e affidarsi, come vuole il progetto. “Gli anziani amano moltissimo raccontarsi. Io amo ascoltarli”, dice Marta, “forse anche perché non ho avuto la fortuna di avere i nonni. Io vivo il progetto dell’affido come un interessante scambio generazionale”.
Per diffondere la sua esperienza pionieristica, Anziani a casa propria sollecita da anni l’approvazione di un testo di legge nazionale che normi, all’interno di un quadro di riferimento certo, l’affido dell’anziano e dell’adulto in difficoltà. “La società sta cambiando tantissimo e velocemente, ma rispetto al “prendersi cura” è davvero rimasta indietro e, soprattutto, a fronte di una società che invecchia, stenta ad affrontare con visione le tematiche dell’invecchiamento, che rimangono rimosse”, spiega Giusy Di Gioia, che opera in una regione, il Veneto, che è Capitale Europea del Volontariato 2020 e che è terza area della UE per numero di volontari e seconda sola al Baden-Wuttenberg e alla Catalogna per quantità di ore dedicate al sociale e numero di associazioni che sostengono i più deboli. “Il Veneto ha inquadrato con una legge l’esperienza di sostegno a casa, ma ora la legge stessa deve essere stabilizzata perché questa esperienza possa allargarsi”.
Davide Giacon, 20 anni, padovano, si è da poco diplomato all’Istituto Superiore Leonardo Da Vinci ed è anche lui uno dei giovani volontari del progetto. “Ho in affido un ex docente universitario. Lui ha una badante che lo segue, ma ha sempre puntato sui nostri incontri per condividere chiacchiere e riflessioni sui temi dell’attualità o della filosofia. Ama molto raccontare della sua vita passata e mi chiede spesso della mia. Dovessi dire qual è il sentimento che emerge tra noi maggiormente è gratitudine, una gratitudine reciproca. È stato lui, venerdì scorso, a chiamarmi: era spaventato dai rischi crescenti del virus, mi ha chiesto di interrompere gli incontri a casa, temporaneamente. Ora siamo in contatto attraverso il telefono: quello che conta è che continui a sentire che ci sono, non importa se a distanza, che continui a sentire la mia voce”.