Uno studio cofinanziato dalla Nasa lavora a un sistema che ricavi gas dagli scarti umani e li ricicli per alimentare colonie di microbi edibili. Colmando così il fabbisogno alimentare delle lunghe esplorazioni del cosmo
Così come l’urina viene riciclata e trasformata in acqua potabile, anche le feci potrebbero presto avere un ruolo nel complicato puzzle del sostentamento degli astronauti nell’esplorazione spaziale del prossimo futuro. Lo racconta un nuovo studio pubblicato sulla rivista Life Sciences in Space Research nel quale i ricercatori suggeriscono come gli scarti umani possano essere reimpiegati per la produzione di alimenti nutrienti in un ciclo virtuoso che limiti l’uso di risorse e provviste. Oltre che il carico del mezzo spaziale.
Lo scenario
Solo per arrivare su Marte occorrerebbero nove mesi nella migliore delle ipotesi. Immaginando un (complicatissimo) rientro, il fabbisogno di cibo per l’equipaggio di un veicolo spaziale si estenderebbe a un anno e mezzo. Se al momento le feci umane sulla Stazione spaziale internazionale vengono attentamente stivate finché non sono espulse nell’atmosfera per disintegrarsi, evitando rischi legati a batteri e microbi, in futuro i molti componenti che vi si ritrovano, come l’azoto, potrebbero essere sfruttati per fertilizzare futuri suoli o coltivazioni interne.
Non solo: secondo Christopher House, professore di geoscienze alla Pennsylvania State University, la strada può essere quella di trattare le feci con i microbi “producendo una biomassa commestibile, direttamente o indirettamente, a seconda dei problemi di sicurezza”.
I problemi
Il punto è che per utilizzare in sicurezza gli scarti biologici occorre trovare un modo di separare i nutrienti utili a coltivazione e alimentazione dagli scarti effettivi. Proprio ciò che stanno tentando di fare House e i suoi collaboratori: “La maggior parte della produzione di cibo per i sistemi di sostentamento vitale si concentrano sulle piante dal momento che allevamento e acquacoltura sarebbero difficili da gestire nei piccoli spazi – ha aggiunto Lisa Steinberg, supervisore al Delaware County Community College che ha collaborato all’indagine – tuttavia la parte delle piante ricca di proteine, come semi e gusci, sono una parte relativamente piccola dell’intera biomassa”. Insomma, il messaggio è che sperare di essere autosufficienti in termini proteici con le piante è un’impresa complessa.
La soluzione passerebbe dunque dai gas prodotti dai microrganismi per far loro digerire anaerobicamente le feci. Utilizzando poi i gas prodotti da quel passaggio per nutrire altri batteri. A loro volta ricchi di contenuto proteico. Ad esempio il metano prodotto durante la digestione anaerobica dei rifiuti umani può essere riciclato per coltivare il Methylococcus capsulatus, un microbo costituito per il 52% di proteine e per il 36% di grassi: una buona fonte di nutrimento per gli astronauti.
Come funziona
La proposta del gruppo di ricercatori, cofinanziata dalla Nasa, si è concentrata appunto sul Methylococcus capsulatus, una specie già coltivata per i mangimi animali. A seconda degli esperimenti i microbi che si sono sviluppati grazie ai gas prodotti dalla digestione anaerobica in un dispositivo appositamente costruito sono stati l’Halomonas (15% proteine e 7% grassi) o, a 70 gradi di temperatura, il Thermus aquaticus commestibile, composto al 61% di proteine e al 16% di grassi.
Difficile capire come potrebbero utilizzarli gli astronauti. Forse addentando direttamente i film, le pellicole biologiche su cui vengono coltivati questi batteri. “Li si potrebbe crescere su una superficie piana immersa in poca acqua e ne uscirebbe una specie di piatto di biomassa su qualsiasi supporto li si ponesse” ha spiegato House. Anche se sarebbe il caso di utilizzare supporti edibili più allettanti per gli sventurati cosmonauti. Comunque sia, il sistema produrrebbe di fatto una specie di poltiglia che gli stessi scienziati hanno paragonato a una crema spalmabile.
Gli ostacoli
Il piano è ovviamente agli stadi teorici. Rimane infatti da immaginare il modo in cui portare su una navicella un sistema abbastanza piccolo e sicuro che dalle feci umane ricavi i gas e li ricicli per alimentare colonie di batteri, alcune specie dei quali – i più resistenti agli schock spaziali – potrebbero fare al caso di questo progetto alimentare. “Ne abbiamo elencati alcuni che costituiscono un buon punto di partenza – ha spiegato House – dobbiamo capire quali microbi saranno più adeguati a produrre i migliori nutrienti con la minor perdita di energia e il minor uso di risorse come ossigeno e acqua”.