Si torna a parlare dell’ex Ceo Travis Kalanick e dei suoi metodi
Un’inchiesta internazionale guidata dal quotidiano britannico The Guardian ha iniziato a pubblicare diversi elementi ripresi da 124mila file trafugati da Uber, l’ex startup della Silicon Valley fondata nel 2009 da Travis Kalanick (suo Ceo fino al 2017). Pur essendo notevole la quantità di materiale, come già espresso da diversi commentatori i contenuti non arrivano di certo come un fulmine a ciel sereno. Da anni Uber è stata associata sia a una modalità di crescita impressionante a livello globale, sia a metodi aggressivi non soltanto nei confronti dei concorrenti, ma anche di governi e regolatori. Più di 180 giornalisti hanno preso parte al lavoro su chat, email e messaggi, che portano la firma dei vertici della società, Kalanick compreso.
“La storia più pazza della Silicon Valley”
Per dare un contesto al lavoro di inchiesta che nei prossimi giorni potrebbe pubblicare nuovi elementi, riprendiamo uno stralcio di quanto scritto dal giornalista Mike Isaac nel libro Uber. La storia più pazza della Silicon Valley. “Reclutando ex dipendenti della CIA, della NSA e dell’FBI, l’azienda californiana aveva messo insieme una forza di spionaggio aziendale potentissima. Gli esperti di sicurezza di Uber – scrive Isaac – spiavano funzionari pubblici, scavando a fondo nella loro vita online e in certi casi li pedinavano addirittura fino a casa”.
Ma in cosa consisteva questo controllo? Su che tecnologia poggiava? Nel libro si cita il caso del Greyball. “Si trattava di un frammento di codice agganciato all’account di un utente Uber, un marcatore che identificava quella persona come una minaccia per l’azienda”. Questo metodo venne poi alla luce grazie a un’inchiesta del New York Times nel 2017. Nel frattempo l’azienda era già diventata un player globale difficile da contrastare. Il suo valore attuale è di 43 miliardi di dollari.
Gli Uber files
Questa breve introduzione può essere utile come punto di partenza nell’analisi degli Uber files di cui molto si sta parlando nelle ultime ore sulla stampa tech. I file abbracciano un periodo di tempo che va dal 2013 al 2017. Tra i nomi più di rilievo c’è quello del Presidente francese, Emmanuel Macron: quando ricopriva il ruolo di ministro dell’Economia, sotto il governo Hollande, Macron ha stretto rapporti molto stretti con l’entourage di Uber e con Kalanick stesso. Il suo obiettivo era permettere alla società di trovare terreno fertile per crescere nel paese.
Ciò suggerisce senz’altro le enormi capacità di lobby di Uber, ma come tanto altro emerso finora dai file non è chiaro se costituisca reato. La società nel frattempo si è già difesa, sostenendo che le cose siano cambiate da quando Kalanick ha lasciato la guida di amministratore delegato ormai cinque anni fa. Negli anni su cui l’indagine ha fatto luce l’ex startup spendeva cifre impressionanti soltanto per fare lobby, ovvero pressione sui governi: nel 2016 90 milioni di dollari. Bastano poi poche righe di un messaggio che il suo fondatore si è scambiato con il proprio team per capire la personalità di Kalanick.
“I miei collaboratori gli hanno fatto sapere che ogni minuto di ritardo è un minuto in meno che avrà con me”. Il riferimento è all’allora vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, col quale il Ceo di Uber si sarebbe poi incontrato in un’edizione del World Economic Forum. Sempre il Guardian riferisce che, alla luce di quel meeting, Biden avrebbe modificato il proprio discorso per enfatizzare il ruolo di Uber nell’economia americana in termini di nuovi posti di lavoro.
Il killer switch
L’inchiesta ha evidenziato anche gli strumenti tecnologici con i quali Uber si proteggeva dai regolatori. Uno di questi era il cosiddetto killer switch, protocollo d’emergenza che, in caso di controlli nelle sedi e uffici della società, oscurava tutti i dati, impedendo così la raccolta di prove. Circostanze simili si sarebbero verificate almeno 12 volte in paesi come Francia, India, Olanda e Belgio. Sul tema la società si è già difesa, sostenendo che il killer switch non sarebbe mai stato utilizzato per intralciare le autorità.
“A volte abbiamo problemi perché, beh, siamo semplicemente illegali”, scriveva a un collega Nairi Hourdaijan, l’ex responsabile delle comunicazioni di Uber a livello globale in uno dei messaggi ripresi dai file di Uber trafugati. Il fatto dunque di operare in un contesto non normato non costituiva di certo un freno per l’azienda. Mike Isaac lo ha spiegato in questi termini nel suo libro: “Kalanick aveva progettato Uber per la guerra. Se l’amministrazione locale decideva di opporre resistenza in una qualsiasi città, Kalanick trasformava rapidamente i suoi utenti in armi da scagliare contro le autorità municipali. Uber tempestava di mail i suoi utenti, invitandoli a contattare i rappresentanti locali e a manifestare la loro irritazione per il giro di vite contro l’azienda”.
Ddl Concorrenza in Italia
Nel frattempo in Italia la situazione resta complessa per quanto riguarda il settore concorrenza e taxi. Nei giorni scorsi c’è stato uno sciopero, con i lavoratori che chiedevano al Governo lo stralcio dell’articolo 10 del Ddl Concorrenza, col quale l’esecutivo mira ad aprire il mercato del trasporto pubblico non di linea. La categoria continua a protestare contro il fatto l’algoritmo di multinazionali come Uber andrebbe a svolgere una concorrenza sleale sui prezzi per i passeggeri.