Domenico Arcuri risponde ai dubbi di chi ipotizzava un ruolo eccessivo dello stato nelle startup che saranno finanziate dal fondo Invitalia Venture, e racconta del nuovo Smart&Start e dei risultati ottenuti
«Invitalia non c’entra con i burocrati del ministero. Chi ha espresso dubbi sull’operazione ha le sue ragioni, ma abbiamo chiamato a dirigere il nostro fondo Salvo Mizzi, che non è un burocrate». Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, ha fugato i dubbi sul fondo di Invitalia Venture dando l’incarico di gestirlo al fondatore di Working Capital e Tim Venture. Un’operazione che dovrebbe muovere sulle startup italiane 100 milioni per 100 startup in 7 anni. Metterci dei soldi, farle crescere e puntare a 100 exit in grado di poter ripagare gli investimenti, alimentare nuovamente il fondo e reinvestire in nuove startup. E’ quanto è emerso durante la puntata di Innovation Game andata in onda su Repubblica.it marcoledì 17 giugno.
Riccardo Luna: Perché Salvo Mizzi è l’uomo giusto
Si della fase tre di Invitalia. Dal primo Smart&Start dedicato solo alle regioni del sud, al secondo esteso a tutta Italia, ad un vero e proprio fondo di Venture Capital. Il fondo sarà lanciato nei prossimi giorni. «Lo stato comprerà azioni di 100 startup. Le compra a tempo. Noi pensiamo di restare nel capitale tra i 5 e i 7 anni. Ma c’è anche una seconda condizione: che noi noi possiamo investire da soli ma solo in matching con un altro investitore». Quindi il fondo dovrà accordarsi con altri investitori, «individuare le startup meritevoli e fare investimenti di round due». Quello che serve oggi. Obbiettivo è puntare a exit che siano favorevoli per lo stato investitore, «per riprendere i soldi e investire ancora». Non un punto di arrivo questo fondo da 50 milioni, ma uno di partenza. «Ce ne saranno altri» assicura Arcuri.
«In Italia si è costituito un mercato dei fondi, in alcuni casi di fondi di fondi. Noi faremo operazione più lineare. Ho sentito qualche perplessità di chi dice giustamente: che c’entra lo stato con le equity delle startup? Ma noi non c’entriamo con i burocrati del ministero. Non li metteremo nei board delle startup». Il riferimento è all’intervista rilasciata a StartupItalia! da Massimiliano Magrini.
Qualche passaggio pure su Smart&Start. Gioie e dolori. Partiamo dai dolori, quelli del 2013 con un sito partito male e che ha fatto molto discutere. Ma anche le startup selezionate, 440, molte di queste non erano quello che definiremmo startup. «Ma abbiamo imparato a capire quali fossero quelle buone. E siamo molto migliorati in questo grazie anche al supporto di tecnici e esperti del settore». Dei 200 milioni messi a disposizione dal ministero dell’Economia ne sono stati spesi 70. «Ho sempre detto che piuttosto di finanziare imprese senza criterio li avrei restituiti». E così è stato. Quest’anno il fondo è di 230 milioni. Alle 440 del primo bando finora se ne sono aggiunte altre 80, mentre su 230 stanno ancora valutando i tecnici. Per il primo bando erano a fondo perduto, fino a 500K. Nel secondo del 2014 si finanzieranno fino a 1,2 milioni a startup. Una parte a a fondo perduto e un’altra con un finanziamento a interessi zero, un mix, per le regioni del sud. Mentre per quelle del nord si tratterà solo di un finanziamento a tasso zero.
Nasce il Invitalia Ventures: cosa succederà adesso alle startup italiane?
Indebitarsi per una startup è un problema? «Sì ma non possiamo dare soldi a fondo perduto, ce lo impedisce l’Europa. E’ vero, è un meccanismo poco funzionale alla vita di una startup. Per questo abbiamo raggiunto un accordo con Abi. Le startup potranno portare in banca le proprie fatture, riceveranno i soldi e noi li ridaremo alle banche. Dare soldi a fondo perduto è impossibile. Se qualcuno non restituirà i soldi ricevuti? Beh vorrà dire cha abbiamo sbagliato a valutarle»