Si chiamerà Invitalia Venture, sarà guidato da Salvo Mizzi, ha già raccolto plausi e critiche e già prevede un accordo con Cassa depositi e prestiti. Tutto quello che serve per capire cosa succederà ora
«Il nuovo fondo di investimenti di Invitalia si chiamerà Invitalia Venture e sarà guidato da Salvo Mizzi». L’ufficialità di una notizia che negli ultimi giorni ha cominciato a circolare tra gli addetti ai lavori l’ha data direttamente Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia (società controllata dal ministero dell’Economia), durante la trasmissione The Innovation Game andata ieri in onda su Repubblica.it. Si partirà in questi giorni. 50 milioni in 7 anni come promesso in un fondo statale che avrà l’acronimo di IV-1 e comprerà equity di 100 startup. Curiosità: IV, proprio come il termine che nella sanità anglosassone sta per flebo. Un’iniezione di liquidità non da poco che, si spera, darà una scossa di energia al venture market italiano, che magari non necessita proprio di flebo ma di certo non se la passa benissimo.
Mizzi lascia la pipeline di Telecom che ha contribuito a costruire. In pillole: anno 2009 partono i primi grant da 25 mila euro di Working Capital, diventata quest’anno Tim #Wcap e in ultimo diventa capo del fondo di investimento Tim Venture (partito a novembre 2014, ha investito in 8 startup 3,7 milioni di euro). Passare a Invitalia Venture è un po’ il proseguimento ideale della sua personale pipeline. Dal grant di Wcap ai Round B di Invitalia. Il fondo farà investimenti da un milione (insieme a privati) in 100 startup. E più che una flebo è una botta di energia. Ovvio che un’operazione del genere non può far contenti tutti i protagonisti in scena. Ci sono i critici e quelli che sono sicuri sia ciò che serve oggi per far fare il salto di qualità all’ecosistema. Ad ogni modo, dati alla mano, questi 100 milioni potranno raddoppiare gli investimenti in startup fatti in Italia che nel 2014 sono stati 118 milioni.
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La carta di Invitalia Venture
Chiamare a bordo Salvo Mizzi, catanese classe 1962, è anche un po’ la risposta che Domenico Arcuri, reggino classe 1965, ha dato a chi ha visto con più circospezione l’operazione di Invitalia (nel caso specifico, l’intervista che ci ha rilasciato Magrini di United Venture qualche giorno fa) «Scegliere Salvo dimostra che non è nostra intenzione dare le startup di funzionari» . Di certo lui non lo è. E d’altro canto, assicura Arcuri, «nessuno uomo del ministero entrerà nel board delle startup, solo manager esperti. Finanzieremo, aiuteremo con quel fondo, e entro 5-7 anni disinvestiremo lasciando le società al mercato».
Vendere le equity che (si spera) dopo 7 anni varranno di più potrà permettere di alimentare il fondo e innescare un circolo virtuoso di crescita che porterà a più investimenti in startup negli anni successivi. Quello di Magrini rimane il principale fondo di Venture italiano (65 milioni) ma è chiaro che l’operazione del duo Arcuri-Mizzi è destinata a sparigliare le carte.
Il fondo di fondi e il dialogo con CDP
A questo si aggiunge che sempre Arcuri ha anticipato che Invitalia sta lavorando ad un accordo con il Fondo italiano di investimento (Cassa depositi e prestiti) per coinvestimenti in startup. Niente di ufficiale, per ora. Però questo vorrebbe dire, stando a quanto risulta a StartupItalia!, che tra quei 600 milioni di investimenti che Innocenzo Cipolletta aveva detto di voler muovere con il fondo di fondi di FII, dovrebbero rientrare anche i 50 di Invitalia.
Come funziona l’operazione l’abbiamo spiegato in dettaglio qui: In sintesi si tratta di un investimenti fatti dal Fondo Italiano insieme ad altri venture privati (e pubblici con Invitalia Venture) partecipati al 25% dal Fondo Italiano e per il restante 75% dagli altri. Tra gli altri a questo punto c’è da aspettarsi che ci siano anche Arcuri e Mizzi. A cui Il Fondo Italiano chiederà oltre che alla liquidità per gli investimenti, anche il know how necessario per le due diligence.
Altra nota: il fondo di Invitalia si chiama IV-1 abbiamo detto. Cosa vuol dire? Che in teoria Invitalia prevede di farne altri. Che l’operazione della controllata del ministero dell’Economia è un primo passo verso la creazione di un capitale di ventura pubblico destinato a cambiare forma e sostanza all’ecosistema delle startup italiane.
Arcuri (Invitalia): «Perché non metteremo i burocrati nelle startup»
«Il mio stipendio? Diminuito e senza sotterfugi»
Ne ha fatta di strada Invitalia. Dal primo contestato bando Smart&Start ad oggi è innegabile che le cose siano cambiate. «Le prime 400 startup che abbiamo finanziato non erano tutte fenomenali» ha ammesso Arcuri. Anno 2013. Primo bando. Primi 200 milioni stanziati dal ministero, ne sono stati restituiti 130. Il sito in palla nei primi giorni e la protesta di chi lo attendeva da tempo. «Oggi le cose sono molto cambiante. Abbiamo imparato a finanziare le startup giuste, con una commissione di esperti, anche internazionali. Sono loro la vera forza di questo strumento».
Insieme alla qualità delle startup è aumentato anche il tetto di finanziamenti erogabili: da 500 mila euro a 1,2 milioni. Poco più dello stipendio che prendeva a Invitalia prima che arrivasse il tetto massimo agli stipendi dei manager pubblici: «senza ricorrere a sotterfugi per evitare il taglio. Lo Stato non è sempre brutto e cattivo». Il nuovo bando Smart&Start finora ha dato 42 milioni di euro a 82 startup, 102 domande respinte e 610 ancora da esaminare. Più di una su due finora non passa il setaccio, che s’è fatto più stretto. E non è detto che sia per forza un male. Anzi.
Arcangelo Rociola
Twitter: @arcamasilum