Le banche centrali hanno risposto alla mossa dei privati, come Facebook. E adesso sono pronte a sfidarsi sul nuovo terreno. Ma, come ricorda a StartupItalia la numero 1 dell’innovazione di ABI, l’associazione bancaria italiana, guai a confonderle con le cripto: “le monete digitali sono garantite dalle banche centrali”
Hanno cominciato le aziende private. Oggi sono sempre di più le banche centrali che stanno studiando soluzioni di moneta digitale. Per restare al passo, ovviamente: si vis pacem, para bellum. Tra queste, la Bce, la Banca centrale europea, con la proposta di un euro digitale.
Francoforte ha avviato dodici mesi fa una fase di ricerca che si concluderà a ottobre 2023. L’idea è quella di non farsi trovare impreparati nel caso un’importante giurisdizione muova il primo passo. “Se la Bce decidesse di non introdurre l’euro digitale, l’Unione potrebbe trovarsi in futuro in una situazione in cui l’offerta di servizi di pagamento sia dominata da operatori esteri quali i giganti tecnologici globali, in grado di offrire su larga scala forme di moneta artificiali” ha scritto Fabio Panetta, membro del board, sul blog dell’istituto.
“Le criptovalute non sono garantite; l’euro digitale avrebbe dietro la Bce. Molte delle soluzioni tecniche necessarie nel mondo cripto in questo caso non servono. Incluse quelle che determinano un consumo enorme di energia elettrica”
Se si deciderà di procedere, come appare probabile al momento, ci vorranno circa tre anni per passare all’azione: parliamo, quindi, del 2026. Manca ancora parecchio. Ma il dibattito è aperto. Anche perché si tratterebbe di una scelta gravida di conseguenze. Bisogna premunirsi contro il rischio geopolitico. Ma potrebbe essere l’anticamera di una cashless society che non piace a tutti, e pone serie questioni. Un nuovo capitolo della lotta tra i governi e Big Tech.
Opportunità e vantaggi
Ma innanzitutto: che cos’è l’euro digitale? “E’ una moneta elettronica emessa dall’Eurosistema, accessibile a tutti, cittadini e imprese” spiega Silvia Attanasio, a capo dell’innovazione di ABI, l’associazione bancaria italiana. “Affiancherebbe il contante senza, però, sostituirlo. L’idea è quella di accompagnare la maggiore digitalizzazione cittadini con strumenti di pagamento innovativi. A oggi, mi risulta che il 90% delle banche centrali stia lavorando su progetti simili”.
“Si potrebbero emettere smart contract per erogare i bonus statali, che poi diventerebbero facilmente replicabili, con grande risparmio di tempo”
A scuotere il sistema è stata Lybra, la moneta di Facebook, un progetto oggi passato in secondo piano. “In quel momento si è capito che la trasformazione della moneta in senso digitale è qui, e non può essere ignorata. I nuovi attori possono essere privati o, appunto, banche centrali”.
Non è una criptovaluta. “C’è una differenza fondamentale – prosegue la manager – Le criptovalute non sono garantite da nessuno e nascono per risolvere l’assenza di fiducia in modo algoritmico; l’euro digitale nascerebbe, invece, con la garanzia forte di una banca centrale. E’ il motivo per cui molte delle soluzioni tecniche necessarie nel mondo cripto in questo caso non servono. Incluse, peraltro, quelle che determinano un consumo enorme di energia elettrica”. Pare che il totale del sistema bitcoin richieda ogni giorno, per funzionare, la stessa quantità di elettricità di una nazione di media grandezza: cui va aggiunto quello delle altre cripto, a partire da Ethereum.
Ci sono poi altri vantaggi per i governi: la programmabilità, ad esempio. “Si potrebbero emettere smart contract – prosegue Attanasio – ad esempio per erogare i bonus statali, che poi diventerebbero facilmente replicabili, con grande risparmio di tempo”. Uno smart contract è un insieme di condizioni che accompagnano la moneta: i soldi possono essere spesi solo per alcune attività, escludendo quelle non desiderate. “Ma si possono impiegare anche per effettuare pagamenti in generale”. C’è, inoltre, un obiettivo di contrasto al riciclaggio di denaro sporco e al finanziamento del terrorismo internazionale.
I problemi: la privacy
Sono in molti, però, a temere problemi di riservatezza: cosa accadrebbe nel caso le informazioni trapelassero dalle banche centrali ai governi? Al di là del caso della Cina, dove i grandi istituti commerciali sono già statali, si tratta di questioni delicate per le democrazie occidentali.
Attanasio è ottimista. “Siamo la patria del Gdpr, che ha fatto scuola, e anche l’euro digitale dovrà rispettarlo. Diverso il discorso se parliamo di anonimato”. In che senso? “Gli utenti dovranno probabilmente rivelare la loro identità quando accedono per la prima volta a servizi in euro digitali” ammette Francoforte rispondendo alle domande principali sul proprio sito. Sono allo studio soluzioni per ovviare al problema. Ancora Fabio Panetta aveva dichiarato che “un euro digitale aumenterebbe di fatto la privacy nei pagamenti digitali, poiché la Bce non ha interesse a monetizzare o addirittura a raccogliere i dati di pagamento degli utenti”. Al contrario dei giganti della tecnologia.
“Siamo la patria del Gdpr, che ha fatto scuola, e anche l’euro digitale dovrà rispettarlo. Diverso il discorso se parliamo di anonimato”
Per far sì che i pagamenti restino una questione privata, andrebbero protette diverse tipologie di dati: l’identità dell’utente, i dati sul singolo pagamento (ad esempio l’importo) e i metadati relativi alla transazione (ad esempio l’indirizzo IP del dispositivo utilizzato). Esistono delle idee allo studio. “Ad esempio – proseguono le FAQ della Bce – l’identità degli utenti potrebbe essere custodita separatamente dai dati sui pagamenti, consentendo solo alle unità di informazione finanziaria di accedervi, nell’ambito di un quadro giuridico chiaramente definito, per individuare il debitore e il beneficiario in caso di sospetto di attività illecita”.
I rischi per il sistema economico
La privacy non è l’unico timore degli scettici. Sono stati sottolienati rischi per la stabilità finanziaria e per la trasmissione della politica monetaria, che Francoforte sta considerando. L’istituto centrale intende l’euro digitale come mezzo di pagamento, e non come forma di investimento. In pratica, si tratta di tenere lontani gli speculatori. “L’Eurosistema sta valutando le configurazioni che permetterebbero di evitare che le persone detengano importi ingenti in euro digitali come forma di investimento priva di rischio oppure spostino fondi dai depositi bancari all’euro digitale” afferma ancora la Bce.
Non solo. Alcuni economisti paventano, inoltre, rischi per le banche commerciali: la moneta digitale degli istituti centrali può risultare più attraente per i correntisti perché garantita da un soggetto forte (i depositi bancari, al contrario, sono maggiormente esposti al rischio di default). Questo potrebbe generare ripercussioni sul credito, e quindi, a catena, sull’intero sistema economico. Tra le soluzioni proposte per ovviare al problema, un limite ai depositi.
“Una cosa è certa: siamo solo all’inizio. E ancora una volta il mondo, fra dieci anni, potrebbe essere profondamente diverso da come lo conosciamo”
Infine, rischiano anche i paesi emergenti: potrebbe determinarsi una fuga dei correntisti verso porti ritenuti più sicuri. “Immaginate cosa potrebbe accadere se la Fed offrisse conti universali e illimitati” in dollari digitali, affermano Stephen Cecchetti (Brandeis International Business School) e Kim Schoenholtz (NYU Stern School of Business). “Le conseguenze potrebbero essere catastrofiche per le economie dei mercati emergenti e in via di sviluppo”: pochi manterrebbero lì i depositi nel caso fosse disponibile un’opzione più sicura. Una cosa è certa: siamo solo all’inizio. E ancora una volta il mondo e il nostro quotidiano, fra dieci anni, potrebbero essere profondamente diversi da come li conosciamo.