Una piattaforma in cui creare esperienze, divertirsi e fare business. Lanciata anni fa come mondo virtuale, oggi cavalca trend tra videogiochi e blockchain
Da poco più di un anno il metaverso è la parola che domina il dibattito tecnologico a livello globale. Ma sono molte le aziende, nel gaming soprattutto, che erano già al lavoro su esperienze immersive che andassero al di là dell’intrattenimento, aggiungendo anche stimoli come il play to earn e rafforzando lo spirito di appartenenza attraverso gli NFT. The Sandbox è una di queste. «Quando abbiamo iniziato a lavorarci non lo intendevamo come metaverso, ma mondo virtuale. Dopo che l’ex gruppo Facebook ha cambiato nome in Meta, il termine si è diffuso. E non credo che cambierà». StartupItalia ha intervistato Bertrand Levy, Senior Vice President Global Partnerships della società per capire cosa cerca un’azienda da un non luogo in cui non solo si possono creare esperienze videoludiche, ma è consentito perfino acquisire terreni.
«Siamo una game company e The Sandbox è il nostro progetto più grande», ci spiega Bertrand Levy, ospite di recente allo IAB Forum di Milano dove il titolo del suo speech era proprio “The Ideal Roadmap to Metaverse”. Il concetto di sandbox si presta bene all’idea di metaverso: il termine, infatti, definisce un genere di videogiochi in cui il giocatore può muoversi senza troppi limiti. A differenza degli open world – come GTA o Red Dead Redemption – i sandbox non hanno una storia strutturata. Ogni missione è slegata delle altre e il giocatore può sfruttare le varie possibilità di gameplay offerte. Minecraft e Roblox sono due chiari esempi di titoli sandbox.
«Abbiamo impiegato tre anni e mezzo per creare The Sandbox e ad oggi è stato utilizzato da 40 milioni di persone come gioco mobile. Si tratta di un mondo virtuale composto da NFT e blockchain, suddiviso in oltre 160mila land». Di questi appezzamenti fatti di pixel vi avevamo già parlato, raccontandovi del fatto che su The Sandbox decine e decine di aziende e personalità – da Atari a Binance, da Playboy al rapper Snoop Dogg – si sono ritagliate uno spazio, una land appunto. «Si tratta di NFT, di varie dimensioni: 1×1, 3×3, 6×6, 12×12 e 24×24». L’unità di misura, ovviamente, sono i pixel.
“Second life è stata una grande idea. Ma all’epoca non aveva la blockchain e neppure gli NFT. Ora siamo nel momento giusto”
Quel che si può fare in The Sandbox è la diretta conseguenza della scelta fatta dai fondatori Arthur Madrid e Sébastien Borget. «Abbiamo sempre voluto dare potere ai giocatori dal momento che siamo una piattaforma di user generated content – ricorda Levy -. Prima di fondare la società i founder erano gamer, ma vivevano con frustrazione il fatto di non essere davvero parte del gioco. Pur investendoci molto tempo, non venivano ricompensati. La blockchain invece lo permette».
Per entrare nell’ecosistema The Sandbox, oltre a iscriversi, è necessario collegare il proprio wallet crypto alla piattaforma. Questo perché il sistema non remunera e non accetta compravendite se non sotto forma di Ethereum. «In qualità di utente finale e creatore è possibile creare NFT e venderli, in modo da trarne profitto». Ma cosa rende davvero personalizzabile l’intera esperienza? «Abbiamo due tool molto facili per creare tutto quel che si vuole. Diamo la possibilità alle persone di mostrare al mondo la loro creatività».
“Prima di fondare The Sandbox, i founder erano gamer. Ma vivevano con frustrazione il fatto di non essere davvero parte del gioco”
Vox edit, come l’ha definito Bertrand Levy, è «design for dummies». Sfruttando la grafica voxel, si possono costruire case, macchine e alberi in The Sandbox, senza per forza essere maghi del coding. Anche questo è un aspetto interessante che si sta affermando da anni: il cosiddetto no-code movement nasce per abbattere le barriere all’ingresso e far sì che anche le persone meno esperte di tecnologia si cimentino con la creatività sfruttando il linguaggio informatico.
«E poi c’è il game maker. Una volta che hai creato i tuoi oggetti li inserisci in un sistema esattamente come in un gioco. L’intera esperienza sarà a disposizione degli altri utenti e si potrà rivendere». Il fascino per strumenti che connettono ancora di più le persone fra loro va di pari passo con lo scetticismo e le legittime paure. Molti fanno il paragone con Second Life, prendendo gli aspetti meno edificanti di un’esperienza virtuale lanciata 20 anni fa e si chiedono: perché spingere le persone a coltivarsi un’altra identità sotto forma di avatar? Bertrand Levy, però, è di tutt’altra opinione. «Second life è stata una grande idea. Penso che condividiamo lo stesso spirito, ma all’epoca non aveva la blockchain e neppure gli NFT. In un certo senso è arrivata quando i tempi non erano ancora maturi. Ora siamo nel momento giusto».
Momento che è dominato anche dalle opportunità, così come dai rischi della tecnologia. Impossibile ignorare il caso delle crypto, in un periodo in cui uno dei più grandi exchange al mondo, FTX, fa i conti con la bancarotta. Come si rapporta The Sandbox all’ecosistema e come tutela i propri utenti? «Premetto che siamo all’inizio del metaverso. Siamo pionieri insieme ad altri attori. Purtroppo, molti ci lavorano soltanto perché va di moda. Ma io credo che alla fine, anche per il mondo crypto, rimarranno non tanto i più forti, ma chi è autentico. Credo si stia vivendo una situazione simile allo scoppio della bolla delle dot.com». Rispetto alle criptovalute, Bertrand Levy ha infine concluso: «Noi lavoriamo con i più grandi, come Binance, che ha una grande land in The Sandbox».