Il Dettori-pensiero su com’è andato l’ecosistema startup italiano quest’anno. Dagli investimenti al perché è sbagliato non considerarle più startup dopo 5 anni: «anche Facebook per molti aspetti è ancora una startup». La vera svolta? «Quando arriverà un’exit alla Candy Crush»
Con la chiusura del 2016 si chiude un po’ anche il primo decennio dell’ecosistema startup in Italia. Un’avventura, quella di crearlo da zero, di fare lo startup dell’intero ecosistema startup, che sembrava inimmaginabile e che ora (seppur lentamente) inizia a far notare i primi frutti sul mercato.
Tra gli innovatori pionieri del venture capital di allora e di oggi c’è sicuramente Gianluca Dettori, protagonista e al tempo stesso testimone con la sua dpixel e quel “Barcamper” che ha macinato più di 80mila chilometri in giro per l’Italia a caccia di startup da accelerare, di quante energie il nostro Paese è capace di sprigionare. Un vivaio di nuovi imprenditori digitali, forse il più grande in Italia.
E con Dettori, che ha aggiunto alla sua galassia un altro grande tassello, Primomiglio, apriamo un giro di interviste con gli attori principali dell’ecosistema startup, per tracciare un bilancio dell’anno che si avvia a conclusione e, soprattutto, capire cosa aspettarci dal 2017.
Il primo miglio di Primomiglio
Gianluca, partiamo proprio dalla grande novità alla quale stavi lavorando da tempo e che quest’anno ha avuto finalmente il via libera dalla Banca d’Italia, Primomiglio, e del primo veicolo d’investimento, Barcamper Ventures. Cos’è cambiato?
«Prima c’era un camper che era dpixel, ora è più o meno la stessa roba, un fondo che si chiama Barcamper Ventures, veicolo di Primomiglio Sgr. E in più aggiungi che abbiamo un programma di accelerazione a Bologna. Finalmente siamo partiti, abbiamo raccolto 30 milioni, e iniziato a investirli. Stiamo completando alcune operazioni che annunceremo nelle prossime settimane. E poi stiamo proseguendo nella raccolta, abbiamo fatto le prime giornate di lavoro con le startup del programma di accelerazione.
Primomiglio, come dice lo stesso nome, ha scelto di investire sulle startup early stage. C’è una ragione in particolare?
«Il fondo che stiamo costruendo si basa su seed, perché noi vediamo l’opportunità nel mercato del venture proprio sul seed. Diciamo che ci piace essere quelli che originano le successive operazioni di investimento».
Il 2016 dell’ecosistema startup in Italia
Com’è stato il 2016 delle startup italiane, secondo te?
«E’ stato un anno di passaggio, ma non tanto per le startup tanto per quello che poi fa muovere le startup che è il mercato degli investimenti. Oggi ci sono in giro 11 Sgr in fase di investimento. Principia, Innogest 3, P101, noi, Oltre ventures, eccetera. Più dotati rispetto al passato. E poi c’è quella che vedo come la notizia più importante dell’anno. Il fondo da 200 milioni di Cassa Depositi e Prestiti, Itatech. Ora può cambiare tutto, perché inizieranno a entrare in coda investitori di quella natura. Obiettivo semplicemente dichiarato è raggiungere la Francia e acchiapparla, perché una cosa è il capitale raccolto, altra è il capitale investito. Che in Francia è un miliardo all’anno».
Domanda che per gli addetti ai lavori può sembrare banale, ma per i meno esperti forse può aiutare a capire meglio alcune importanti novità. Quando parliamo di realtà partecipate dallo Stato che iniziano a investire su innovazione e startup, cosa cambia tra un attore come Cdp e, a esempio, Invitalia Ventures?
«Invitalia Ventures è il fondo di Invitalia Sgr, una Sgr indipendente, gestita da Salvo Mizzi. Un fondo di co-investimento i cui fondi vengono dal ministero del Tesoro, per una parte, e una parte dagli investitori istituzionali. Diciamo che somigliano più a noi, in quanto gestiamo soldi di investitori istituzionali. Cassa Depositi e Prestiti per il momento non investe direttamente, investe in fondi di fondi. Noi come Barcamper Ventures siamo i gestori di capitali che arrivano dal Fondo Italiano e da diversi investitori. Cdp sta dotando di risorse coloro che possono finanziare i fondi di Vc, però tutta questa struttura di capitali è fondamentale perché questa decisione ha un impatto diretto, ci vuole un po’ di tempo perché questi soldi vengano “visti” sul mercato. E anche il Fondo Italiano adesso sta investendo, e sta cercando nuovi gestori su cui investire.
Iubenda e Sardex, le migliori startup del 2016 per Dettori
Quali sono le 3 startup italiane che hanno fatto bene nel 2016, magari anche del tuo portfolio, e perché?
«Te ne dico due del nostro portfolio. Sicuramente Iubenda, che si è consolidata dopo un anno di crescita fortissimo. Ti avevo detto un anno fa che “cash is king”…. Iubenda non solo ha clienti in tutto il mondo ma fattura, fattura, fattura. La cassa è tutto. In Silicon quando raggiungono la profittabilità hanno cassa che sono pari al Pil di un paese medio. Puoi far di tutto, ricerca, crescita. E poi Sardex, che ha chiuso un round di 3 milioni e che ha iniziato a fare circuiti fuori dalla Sardegna…»
Anche se Sardex non è più una startup, ma una Spa. Ora è un’azienda consolidata…
«La considero ancora una startup. In Sardegna ha un modello di business che ha dimostrato di funzionare. E’ ancora piccola, sono 60 persone. In Silicon Valley ci sono società che hanno 600 dipendenti e sono ancora startup. Se vuoi anche Facebook è ancora per certi punti di vista una startup. Non conta tanto il limite temporale dato dalla burocrazia. Ci sono società che per loro modello di business restano startup anche oltre i 5 anni dalla creazione».
Investimenti, cosa è cambiato
Cos’è cambiato di più, non solo a livello di mercato ma anche a livello di “sensibilità” nei confronti dei temi dell’innovazione, rispetto agli scorsi anni?
«Il Governo ha fatto tanto, è un impegno che ormai è confermato governo su governo. Monti, Letta, Renzi. L’ultimo atto che ha fatto il governo Renzi in Stabilità, il 30% di detrazioni per chi investe in startup, è importante. Questo è il lavoro visibile di affinamento della norma che oramai è rodata, e forse anche all’estero potrebbero studiarci e copiarci. E poi c’è quello che non si vede, quando nasce ad esempio Invitalia Sgr. Il governo in quella occasione si rese conto che le risorse per l’ecosistema si stavano asciugando, e meno male che è arrivata Invitalia sgr a rafforzare quei round che si stavano creando. E poi, sempre tra le cose che non si vedono, o che si vedono di meno ci sono i rinnovi nelle cariche in Cdp, i nuovi piani industriali, insomma. Come dicevo, un anno di passaggio per molti aspetti, ma è cambiato molto».
Nel 2016 sono raddoppiati gli investimenti in startup, e in totale sono stati investiti quasi 200 milioni. Una buona notizia, o non basta?
«E’ certamente una buona notizia. I soldi servono. Prendi Cortilia, ad esempio. L’altra settimana è stato fatto un round da 85 milioni in Germania da Hello Fresh, un competitor tedesco di Cortilia. Vai a vedere bene i numeri e scopri che quest’anno quella startup ha fatto 400 milioni di ricavi però circa 170 milioni di perdite. Tutte quelle perdite sono coperte dal venture. Se noi iniziamo a costruire un sistema forte le nostre startup non finiscono mangiate ma saranno loro a mangiarsi delle altre. I soldi servono per supportare il rischio, le perdite, e competere a livello internazionale. Oggi in Italia ci sono delle startup che sono in condizione di fare round da 10, 20, 30 milioni di investimento. Più consolidiamo gli investimenti più diamo loro opportunità».
Aspettando una mega exit come Candy Crush
Cosa ti aspetti per l’ecosistema dell’innovazione nel 2017?
(Sorride, ndr) «Non seguo molto il gossip…»
Questa risposta però la stai riciclando, ce l’avevi già detta quanto parlavano un anno fa di open innovation…
«Lo so. Ma i temi, i trend, queste cose qua lasciano il tempo che trovano. Se vogliamo pensare a una vera svolta che stiamo aspettando, che ci cambierà davvero la vita, che non è ancora successo e che succederà è una grossa exit. Ti faccio un esempio di una cosa successa in Europa: King Digital, la più grossa exit nella storia delle startup europee. Ha avuto degli impatti pazzeschi negli ecosistemi di tutta europa. Quindi, prima lezione: gli investitori istituzionali hanno capito che se mettono il naso in Europa succedono cose così. Secondo: gli investitori che avevano investito vedono tornare quei soldi, con dei profitti. Quindi cominciano a vedere che era un buon investimento. E magari li reinvestono in altri progetti. Per l’Italia vale lo stesso discorso. Il giorno che faremo l’exit di una società che si avvicina al billion allora entreremo davvero nei radar degli investitori internazionali. Non so se accadrà il prossimo anno, ma prima o poi accadrà. E sarà una vera svolta».
Aldo V. Pecora
@aldopecora